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Il cantante di blus - Capitolo 16

XVI.

Frattini era ancora sul divano e, seppure mostrava un colorito pallido, sembrava calmo e controllato.

«Ah, Manara, è arrivato finalmente! L’abbiamo cercata ovunque…»

«Il mio cellulare era acceso…»

«Sì, immagino. Ma abbiamo provato al numero di casa» rispose Frattini, svelando il significato che aveva per lui l’avverbio ovunque.

«Dottor Frattini» intervenne il tenente Ciotoli «Se lei volesse andare a casa, non si preoccupi. Ho già verbalizzato la sua dichiarazione…».

«Proprio uno stronzo, non c’è che dire!» pensò con un sorriso Michele.

«Non è il caso. È mio preciso dovere restare a disposizione sua e dei dipendenti dell’azienda».

«Bene, bene. Allora se lei potesse farmi avere la lista dei dipendenti di cui abbiamo parlato, con gli indirizzi e i numeri di telefono, le sarei davvero grato».

«Sì, credo che gli impiegati siano già arrivati, ma il suo sottoposto alla porta non fa passare nessuno. Appena fa salire la mia segretaria le faccio stampare tutto».

Al tenente non sfuggì il riferimento al sottoposto, che gli diede modo di capire ancor meglio con chi avesse a che fare.

«Ah, l’appuntato Govoni! Gli avevo detto che una volta partita l’ambulanza poteva far salire tutti. Lo richiamo immediatamente con la radio»

«No, non è il caso. Faccia pure quello che deve. Oggi non è un normale giorno di lavoro».

«Allora io e Michele, il signor Manara, andiamo a vedere cosa hanno portato via dall’ufficio. La terrò aggiornata».

«Grazie, tenente».

 

«Antonio, hai finito?» Ciotoli si era rivolto al collega della scientifica, per cui sembrava avere una certa antipatia.

«Sì, tutto a posto, signor tenente. Fotografie, impronte, tracce e segni. Abbiamo tutto» rispose mentre metteva a posto i suoi attrezzi in una valigetta di alluminio.

«Che ha detto il medico?» chiese Michele «Come sta Morrone?»

«L’hanno portato via in coma. La prognosi è riservata e sembra fosse una cosa grave. È rimasto a terra per otto o nove ore, con un trauma cranico e una commozione cerebrale. Io adesso andrei. Le raccomando di usare l’FPS che le ho lasciato con tutti quelli che interroga».

«Sì, mi ricordo. Vai, che qui dobbiamo ancora cominciare»

«Cos’è un FPS?» chiese Michele appena li lasciò soli.

«È questo» disse Ciotoli estraendo dalla tasca un apparecchio grande come un pacchetto di sigarette. Era un aggeggio elettronico con un display lcd, una piccola tastiera e una piastrina metallica al centro «si chiama fingerprint scanner, FPS. Ci serve per prendere le impronte a tutti quelli che possono essere stati qui dentro, in modo da riconoscere eventuali impronte estranee. Naturalmente vi chiederò una autorizzazione formale».

«Capisco» rispose distratto Michele che aveva cominciato a guardarsi intorno nella confusione. Stava sperimentando il senso di oltraggio che provano le persone che subiscono un’invasione degli spazi personali. Era il suo ufficio, non la sua casa. Ma comunque sentiva montare la rabbia per quello che ignoti avevano esperito là dentro. Senza contare quello che avevano fatto a Morrone.

«… secondo te, invece?» Ciotoli stava parlando e gli aveva rivolto una domanda ma lui non lo aveva nemmeno sentito «Michele? Stai bene?».

«Sì, scusami. Stavo guardandomi intorno. Non riesco a capire se manca qualcosa. Dovrò fare un rapido inventario, ma mi sembra che non abbiano preso nulla».

«Forse il custode li ha interrotti troppo presto»

Michele in realtà sentiva che qualcosa era fuori posto, ma non riusciva a capire cosa.

Poi il suo sguardo si posò sul vecchio classificatore che non usava da anni e che teneva solo come pezzo d’arredo. Era aperto ed era stato evidentemente frugato, ma non conteneva che vecchie carte inutili. Alla Teorema tutti i documenti erano elettronici ormai da anni. L’unica cartelletta nuova che doveva esserci era blu elettrico e aveva un’etichetta con la scritta ‘Il Cdb‘ nella tasca trasparente. Ma non c’era più.

Forse era finita sotto la scrivania. Forse l’avevano presa per il colore così evidente, o per la scritta incomprensibile. La fretta con cui si diede quelle spiegazioni non gli piacque. Senza capire bene il perché, decise di pensarci quando il tenente se ne fosse andato.

«Michele? Sei sicuro di star bene?»

«Sì, scusa; sono solo un po’ scosso» ammise Michele, dicendo quasi tutta la verità.

«Te la senti di fare un inventario, mentre io cerco i tuoi colleghi e faccio un primo giro di colloqui?»

«Certo, ce la faccio»

«Va bene, allora ci vediamo qui tra un paio d’ore?»

«Sì, va bene»

Il tenente chiuse la porta uscendo, ovviamente allo scopo di lasciare a Michele la tranquillità per fare l’inventario. Ma Michele ebbe comunque la strana impressione che quel gesto fosse come un cortese sollecito: ‘non muoverti da qui! Quando torno ti voglio trovare!’. Rimase infastidito da quella porta chiusa per tutto il tempo necessario a realizzare che, per quanto assurdo, i ladri gli avevano rubato il racconto e nient’altro.