Home

Il cantante di blus - Capitolo 18

XVIII.

Michele cominciò a riordinare le vecchie carte nel classificatore, ma quella più recente risaliva a oltre dieci anni prima. Dopo qualche minuto le raccolse così com’erano e le ficcò nel cassetto più grande, con una foga che lo sorprese. Poi, con scatti nervosi, iniziò a rimettere a posto il resto dell’ufficio. Si faceva di nuovo largo l’indignazione per quella violazione, una reazione allo shock che è spesso sproporzionata al danno subito.

In fondo poteva stamparne un’altra copia. Ma l’interrogativo era Perché?. Perché commettere un reato, che l’eventuale morte di Morrone poteva far diventare un omicidio, per rubare un racconto che se mai avesse avuto un valore letterario, di certo non aveva alcun valore commerciale?

Era tutto più o meno in ordine quando rifletté di nuovo sulle sue possibilità di fare una nuova stampa. Guardò il suo computer. Capì qual era un altro dettaglio che lo disturbava: il mouse era sul lato sinistro della tastiera. Lui usava il mouse con la mano destra e lo teneva a destra della tastiera.

Gli ignoti avevano esperito anche un uso illegale del suo computer.

Mise a posto il mouse mentre lo accendeva.

Biiip.

‘Il computer non è stato spento correttamente. È necessario effettuare una scansione del disco per eventuali errori. Al termine della scansione il computer si riavvierà. ‘

Pensò che nella fretta dovevano aver spento il computer per nascondere cosa stavano facendo, ma non c’era stato tempo per la procedura di arresto. Sperò che la cosa non avesse provocato danni mentre attendeva la scansione.

Bip.

‘Riavvio del sistema in corso’

Biiip.

‘Il computer non è stato spento correttamente. È necessario effettuare una scansione del disco per eventuali errori. Al termine della scansione il computer si riavvierà. ‘

A questo punto Michele capì che i danni dovevano esserci stati.

In quell’istante entrarono Bea e Manuela.

«Michele?» dissero all’unisono «ma che è successo?»

«Una classica visita dei ladri» rispose, con una finta allegria che non ingannava nessuno.

«Notizie di Morrone?» chiese Manuela.

«È stato portato via da qui in coma. Non ho saputo altro».

«E qui? Oltre a corrompere il tuo sistema operativo, che hanno preso?». Era Bea che guardava il computer con occhio professionale «adesso dovrai farmelo rikittare»

«Richittare?» Michele stava già per riscaldarsi.

«Sì, insomma bisogna rimetterci il kit del sistema operativo, completo di tutti i tool necessari, secondo il protocollo che abbiamo coi tedeschi della Treue».

«Ma è bellissimo!» intervenne Manuela «Ri-kit-tare, un’importazione d’effetto».

Michele stava per dare di stomaco. E non si diede la pena di nasconderlo.

«Che cos’hai?» chiese Bea, ignara di essere stata, coi suoi creativi neologismi, causa della sua reazione.

«Potrò riavere i miei dati?» chiese invece di dare inutili spiegazioni.

«Hai fatto un backup sulla NAS di recente?»

«E basta! Ma proprio non puoi fare a meno di torturarmi con sigle e termini tecnici anglofoni, orribilmente italianizzati? Non posso crederci! Rikittare!! Ma ti rendi conto?» quest’ultima domanda era rivolta a Manuela, che se la rideva pazzamente, anche per l’imbarazzo che Bea mostrava a quella sfuriata. «Tra poco mi dirà che avrei dovuto scannare i miei files, e poi draggarli e dropparli sulla backup unit».

Bea stava per sorridere, pensando che erano proprio quelle le parole che voleva dire. Poi decise che era meglio un altro approccio «Se non hai un backup, è meglio non rimetterci il sistema. Se vuoi posso tentare di recuperare i tuoi file prima…»

«Te ne sarei grato» interruppe Michele.

«Ok, ragazzi vi lascio, devo trasferirmi da un’altra parte, visto che il tenente mi ha fregato l’ufficio per gli interrogatori. A proposito, io ho finito dieci minuti fa. Tu, Bea? Già fatto?»

«No, quando mi hanno chiamato ero giù nel centro e sono andati avanti. Mi chiameranno più tardi, credo».

«Ok, a dopo».

«Ciao» le dissero Bea e Michele contemporaneamente mentre usciva.

«Senti» cominciò Michele, dopo qualche istante di silenzio imbarazzato «Sandro, cioè il tenente Ciotoli, mi ha chiesto cosa ho fatto ieri sera».

«Sì? E tu che gli hai detto?»

«Che gli dovevo dire? La verità! Che sono andato alla mostra e che poi sono andato a casa».

«Non gli hai detto che ero con te?»

«Non me l’ha chiesto».

«Se te ne vergogni…»

«Ma che dici? Era per non… insomma…»

«Non…?»

Bea sembrava arrabbiata, ma in realtà se la godeva a vedere Michele, generalmente così padrone di sé, incartarsi cercando di non dire la cosa sbagliata.

«Niente, lascia stare».

«Sì, bravo. Lascia stare. E se te lo chiede? Glielo dirai al tuo amico Sandro che eri in compagnia? E quando lo chiederà a me? Cosa gli devo dire?»

«Non lo so… vedremo. Insomma, che si può fare per i miei dati?» disse tentando di cambiare discorso.

«Ma davvero non hai un… archivio di riserva?»

Michele sorrise, grato per quella traduzione «Sì, l’ho fatto la settimana scorsa, ma… insomma è una sciocchezza… lasciamo stare».

«Cosa?»

«Era rimasto fuori solo quel racconto, il cantante di blus. L’ho scritto dopo il salvataggio… mi piaceva l’idea di conservarlo. Sono due file: il racconto e degli appunti»

«Oddio, non ne hai un’altra copia? No, certo! che scema, non staremmo parlandone se l’avessi, scusa. Senti vado a prendere la mia valigetta e vengo. Ho un tool… uno strumento di recupero nuovo fatto per l’informatica forense. È un vero portento».

 

«Possiamo fare una analisi dell’history e del registro per capire quali sono state le operazioni effettuate dall’ultimo backup.» Bea era tornata con la sua valigetta dei miracoli, e ora cercava di spiegare a Michele i passi che stava per compiere. «Poi recupereremo tutti i file creati o modificati da allora».

Dopo aver trafficato alcuni minuti con i suoi strumenti disse «Allora, qualcuno è entrato e ha fatto un lavoro da dilettante: ha flattato… Senti prima di continuare devo dirtelo. Non posso lavorare traducendo il mio linguaggio per farti piacere. Se s’è qualcosa che non capisci te lo spiego, ma i termini tecnici sono questi, e se sono acronimi o anglofoni o storpiature, ti arrangi finché non ti risolvo questo problema, chiaro?»

«Sì, sì, certo. Non sono integralista come sembro. Continua».

«Allora… ti hanno flattato il disco, distruggendo la FAT, cioè l’indirizzario dei file. Ma i file che cerchi ci sono ancora e possiamo recuperarli. La cosa interessante, però, è che le attività recenti mostrano che qualcuno ha spostato proprio questi due file in una unità removibile… a meno che non l’abbia fatto tu, ieri, prima di andar via…»

Michele sentì una scarica di adrenalina e mentì quasi spontaneamente «Sì, devo averli spostati sul mio pen drive. Ma forse poi li ho cancellati anche da lì»

«Ok, allora li recupero, te li invio sulla mail personale, e poi rikitto».

Dopo l’invio dei file Bea lanciò il rikittaggio, o rikittamento, o come mai si poteva chiamare quella operazione di ripristino, ma ancora non era convinta circa il senso che aveva quel gesto. «Non capisco perché distruggere i tuoi dati… un lavoro frettoloso, inoltre. Cosa volevano ottenere?»

«Non può essere un caso? Non può essersi guastato da solo?»

«È molto difficile…»

«Ma è possibile, no?»

Bea non voleva ammetterlo, ma era possibile. Certo doveva essere una coincidenza notevole.

La porta si aprì ed entrò il tenente Ciotoli.

«Ciao, Sandro»

«Ciao Michele, e lei deve essere l’ingegnere Palida, giusto?»

«Sì, ma gli amici mi chiamano Bea, piacere tenente».

«Dovrei interrogare anche lei, se non le dispiace, ma prima vorrei parlare con Michele».

«Non si preoccupi tenente, stavo andando via. Sarò su questo piano tutta la mattina» rispose Bea uscendo.

«Allora che cosa mi dici? Capito cosa hanno preso o volessero prendere i ladri?»

«No» rispose Michele sentendo che era una bugia palese. Lo stato di agitazione in cui gli eventi della mattina lo avevano trascinato non gli permetteva di pensare lucidamente. Ma l’istinto gli diceva che non doveva parlarne con Sandro prima di averci pensato bene su.

«Non capisco proprio» disse infatti «Non ho cose di valore qui dentro, nemmeno informazioni industriali sensibili. E comunque non manca nulla».

«Anche io ho provato a capirci qualcosa. Nessuno dei tuoi colleghi, tra quelli che ho interrogato, era qui o ha visto qualcosa. Però il tuo ufficio non è il primo che si incontra entrando. Sono venuti apposta qui dentro».

«Che posso dire? Sono sconcertato, ma non ho una spiegazione».

«Una spiegazione si trova sempre. Che è successo al tuo computer?»

Sandro lo stava fissando da quando era entrato mentre Michele, a disagio, fingeva di non notarlo. Ma si aspettava la domanda e non si fece cogliere impreparato.

«Oh, era da un po’ che mi dava problemi e visto che Bea si trovava qui, l’ha ripristinato» disse sperando di risultare credibile a quel tipo che pareva avere un intuito affilato come un rasoio.

«Ah, bene» ribatté lui con fare enigmatico, alimentando le fantasie ansiogene di Michele.