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Il cantante di blus - Capitolo 29

XXIX.

Era successo tutto molto in fretta e le ultime parole di Pino, che ancora il mattino dopo risuonavano nelle orecchie di Michele, erano state enigmatiche. «Ciao Marcella, ciao Michele. Ci sentiamo presto, eh?».

Ovviamente tutti avevano pensato che Pino si riferisse a Marcella. Ma sulla cartolina che adesso teneva in mano, Pino aveva scritto un numero di cellulare.

L’istinto gli diceva che si poteva fidare. In fondo era convinto che, chiunque fosse, quel cantante non era un criminale.

Non poteva esserlo se scriveva quelle cose, per quanto lui le criticasse rispetto alla sua produzione storica. Ma non era solo quello. Nel suo unico incontro con Pino aveva percepito in lui qualcosa di più. Non avrebbe saputo spiegarlo, nemmeno a se stesso. Quindi non ci provò.

Alla fine si decise a comporre quel numero.

«Pronto?»

«Pino?»

«Sì?»

«Sono Michele».

Così si erano dati appuntamento per quel pomeriggio davanti all’Altare della Patria.

Era il risultato di una trattativa. Michele non si fidava del tutto, nonostante l’istinto. Non sapeva che tipo di persone avesse di fronte. Pino era in contatto con gli stessi che avevano mandato Morrone all’ospedale. Cosa avrebbero potuto fare a lui?

Declinò l’offerta di andare da Pino allo studio o a casa, e vinse la resistenza che lui mostrava alla proposta di un posto pubblico. Temeva di essere riconosciuto. Michele gli disse di mettere un cappello e degli occhiali, magari di radersi, ma che non avrebbe ceduto. Doveva essere un posto aperto e pubblico.

L’Altare della Patria aveva sempre molti poliziotti e carabinieri a presidiarlo. Michele si sarebbe sentito al sicuro.

«Sei venuto da solo?» chiese Michele appena lo vide arrivare.

«E con chi dovevo venire?»

«Non lo so».

«Non ho detto niente a mio padre. Lui non sa che ci siamo incontrati. La mia famiglia è così, non mi somiglia…»

Pino si fermò un momento a pensare.

«Naturalmente è stato mio padre a parlarmi di te…»

«Da dove cominciamo?» interruppe Michele come se quella fosse una questione di importanza secondaria.

«Raccontami prima tu» disse Pino.

 

Quando Michele finì di raccontare come era venuta fuori l’idea del racconto, Pino rimase a bocca aperta.

«Hai ragione tu, in quello che hai scritto» disse dopo un po’ «ho una lunga storia da raccontarti ma il succo è proprio questo: io non sono come lui. Nessuno potrebbe esserlo».

E iniziò a raccontare.

Alla fine si fece largo uno strano silenzio, durante il quale toccò a Michele restare sbalordito. Rimasero per un po’ seduti sulla sgangherata panchina che avevano scelto una volta chiaro che avrebbero soltanto parlato. Guardavano il passeggio, la gente disinteressata di loro che controllava i bambini mentre correvano lungo l’area pedonale.

«Ma cosa è successo a Morrone?» chiese infine Michele, ancora scosso. «Chi è entrato alla Teorema

«Questa è una cosa un po’ delicata. Mio padre mi ha sempre protetto. Ma non ha mai usato violenza per coprire questa faccenda. Era un nostro accordo dall’inizio. Saputo del racconto ti ha visto come una minaccia. Allora, per capire cosa ti aveva ‘ispirato’, ha chiesto a un suo collaboratore di indagare. Non doveva succedere niente, ma qualcosa è andato storto ed è successo quel casino della guardia. Non so chi sia andato nel tuo ufficio ma posso scoprirlo. Il problema è che ci sono regole nell’ambiente della mia famiglia con cui si devono fare i conti».

Ancora una volta passò qualche minuto durante il quale i due cercarono di assimilare le informazioni che si erano scambiati e di trarre qualche conclusione.

Dopo un po’ Pino si scosse «Allora? Che ne pensi?»

«Non lo so» rispose Michele sincero.

«Tu credi che io l’abbia fatto per i soldi? Per la fama?»

«Sì, forse. Per cosa altro, se no?»

«Io lo amavo come me stesso. Per me era più di un fratello. Quando ho visto che se ne era andato, ho sofferto molto più di quanto avrebbero sofferto tutte insieme le centinaia di migliaia di ammiratori che compravano già i suoi dischi.

«Detto adesso ti suonerà strano, ma l’unica cosa che volevo fare era riportarlo in vita, far continuare il sogno spezzato. Non sarei stato alla sua altezza, lo sapevo, ma ce l’avrei messa tutta. E l’ho fatto, gli ho dedicato tutto, sacrificando completamente la mia vita. Quanti possono dire di aver dato tanto al loro idolo?

«Adesso non ho più scelta. Devi decidere tu che cosa vuoi da questa storia. Puoi diventare più famoso di me, forse anche molto ricco. Vendere questa storia… t’immagini?»

Michele era impressionato. Che fosse sincero? D’altra parte Pino, o meglio Antonio, non era venuto con l’intento di fargli del male, e avrebbe ben potuto. Inoltre lo aveva messo a scegliere su cosa fare della sua storia, della sua vita.

«Tu cosa vorresti?» gli disse.

«Io continuerò a fare il mio lavoro. Continuerò a provare con tutte le mie forze a raggiungere la sua grandezza, finché qualcuno mi impedirà di farlo».

Michele si alzò dalla panchina e lo guardò. Prese la sua decisione.

«Forse un giorno, magari presto, ci riuscirai davvero».

Pino capì che Michele gli stava restituendo la sua vita.

«Vorrei che tu non ti sbagliassi. E vorrei poter fare qualcosa per ricambiare».

Michele ci pensò sopra a lungo.

«Che hai da fare giovedì sera?» gli disse alla fine.