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Il cantante di blus - Capitolo 31

XXXI.

Erano le nove di sera del lunedì, a ventiquattro ore dall’inizio della sorveglianza, quando il maresciallo Manzetti vide arrivare la macchina senza contrassegni. Scese e attese che il brigadiere Govoni trovasse modo di sistemare l’auto in uno spazio troppo piccolo. Ce la fece in poche abili manovre, il che fece pensare a Manzetti che ciascun essere umano, per quanto poco dotato, doveva possedere almeno un’attitudine.

«Ciao Nando».

«Cambio guardia. La sorveglianza sta procedendo secondo manuale?»

«Sì.» Manzetti si trattenne a stento dallo schiaffeggiarlo «Sono con lui da stamattina. Siamo arrivati mezz’ora fa dal lavoro. Lui è di sopra. Terzo piano, seconda finestra dall’angolo. Il tenente se n’è andato ora. Era passato per sapere se c’erano novità».

«Va bene, Lascia pure l’avamposto. Se non hai consegne, ora subentro io».

«Ciao» disse Manzetti, pensando invece «ma va’ a cagare!».

«Ciao».

Manzetti salì sull’auto mentre Govoni tornava alla sua. Mise la freccia per uscire dal parcheggio, quando un deficiente che arrivava cominciò a strombazzare e a lampeggiare. Gli venne voglia di urlargliene quattro, ma quando si girò per farlo fu colto da una sensazione di déjà vu. Gli abbaglianti ancora accesi del cretino avevano illuminato, sul marciapiede, un uomo che andava verso il portone di Manara.

Lo avevano addestrato a guardare facce e a riconoscerle, e lui era molto bravo se si trattava di beccare un ‘segnalato’ nella folla.

Quella faccia non gli era nuova, ma non riusciva a ricordare dove… ma certo!

Scese dalla macchina e andò da Govoni.

«Hai visto quello?»

«Sì, il soggetto che è penetrato nel portone ora?»

«Già. Aveva una chiave? O ha citofonato?»

«Ha citofonato».

«Dobbiamo chiamare il tenente».

«Perché?»

Senza preoccuparsi di rispondere prese il cellulare.

«Tenente, sono Manzetti. Ha con se le schede che le ho stampato?»

«Sì».

«Potrebbe tornare qui? Credo che uno di loro sia appena andato a trovare Manara».

Sandro arrivò pochi minuti dopo.

Manzetti prese le schede mentre lo aggiornava, le sfogliò finché disse «Questo!», quando raggiunse la scheda relativa a ‘O Zicchinett.

«E ha citofonato? Quello stronzo lo conosce! Che cazzo sta combinando? Da quanto è entrato?»

«Dieci minuti».

«Un quarto d’ora»

Avevano risposto contemporaneamente, ma Sandro nemmeno ci aveva fatto caso.

«Andiamo su, magari bussiamo alla porta».

Si mossero insieme e giunti al portone Manzetti, rivelandosi un uomo pieno di risorse, disse: «Posso aprirlo in 3-4 minuti».

Sandro considerò un istante la cosa. Poi lesse i nomi sui citofoni e ne schiacciò uno di un interno dell’ultimo piano.

«Chi è?»

«Buonasera» disse con una voce educata e cordiale «sono il figlio della signora Barbati, del primo piano. Potreste aprirmi il portone. Sono senza chiavi». Trattenne il fiato, sapendo che non sempre funzionava.

Zrrrr… tac…

«Molte grazie, e mi scusi il disturbo»

Arrivati all’ascensore lo videro bloccato. Manzetti si fece avanti senza parlare e armeggiò sulla porta. In un attimo furono dentro e schiacciarono il tasto del quarto piano. Sandro non pensava che Michele si aspettasse la visita, ma meglio non trascurare nulla. Scesero in silenzio il piano che li separava dall’appartamento di quello che era ormai un sospetto. Le scale e il pianerottolo erano deserti.

Davanti alla porta di Manara, Sandro considerò le sue opzioni.