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Il cantante di blus - Capitolo 32

XXXII.

O’ Zicchinett aveva fermato l’auto troppo lontano. Anche se da dove si trovava riusciva a vedere il portone, non gli sembrava la posizione ideale. Ma di altri posti, nemmeno a parlarne.

In più non poteva farsi notare. La sua BMW era parecchio vistosa, con quei cerchi enormi, le cromature e tutto il resto, quindi meglio essere prudenti.

Manara ancora non si era fatto vedere ma lui era paziente. Avrebbe aspettato il tempo necessario. Controllò ancora di avere tutto: la pistola, i guanti, i passepartout, i grimaldelli, il torcipollici e tutto l’armamentario che usava da ragazzo.

Quando rialzò gli occhi vide arrivare una macchina. Il modello e il colore erano giusti. La seguì mentre veniva parcheggiata a metà sulle strisce pedonali e fece tra sé un commento sdegnato sul parcheggio illecito. Venendo da lui era opportuno quanto quello di un maiale che si lamenti di chi entri nel porcile con le scarpe infangate.

Era Manara. Lo vide entrare nel portone. Sul citofono, aveva controllato, c’era scritto terzo piano. Ma da dov’era non riusciva a vedere le finestre. Inoltre non sarebbe servito a molto.

Aveva già deciso di aspettare ancora almeno una mezz’ora. L’esperienza gli aveva insegnato che non si deve sorprendere la gente in casa appena rientra, quando è ancora guardinga, e tiene alta quell’attenzione necessaria alla sopravvivenza nel mondo esterno.

L’ambiente domestico, come un guscio protettivo, dopo un po’ fa rilassare le persone, e le rende più docili e indifese.

In quel momento lui sarebbe entrato in scena.

Manara gli avrebbe detto tutto, la verità assoluta, e poi sarebbe morto. Il segreto di don Vittorio sarebbe stato al sicuro e lui sarebbe diventato un eroe per la famiglia.

Ma adesso stava pensando. Non doveva pensare. Pensare è nemico della perfezione. L’aveva letto in un libro anni prima. Era un giallo. Anche lui leggeva, mica solo don Vittorio, che nonostante quella enorme biblioteca continuava a parlare come uno scaricatore. Quello che pronunciava quella frase, trent’anni dopo faceva una brutta fine. Ma a lui ancora trent’anni sarebbero bastati. Ci avrebbe messo la firma.

Guardò l’orologio. Era ora.

Scese dalla macchina e si avviò verso il portone. Un cretino arrivava lampeggiando e suonando per non far uscire un povero cristo da un parcheggio. «Che inciviltà» disse quasi ad alta voce, allungando ancora, se possibile, la distanza tra predicare e razzolare.

Al citofono bussò a un piano alto.

«Chi è?»

«Buonasera, sono il tecnico dell’ascensore per una chiamata d’emergenza. Pare ci sia qualcuno bloccato. Per favore può aprirmi?»

Zrrrr… tac…

Entrò di corsa, e fu fortunato. L’ascensore era al piano terra. Aprì la porta e bloccò la molla di ritorno. Se l’inquilino a cui aveva bussato era curioso, avrebbe dovuto scendere a piedi per verificare. Inoltre quella sera nessuno avrebbe usato l’ascensore, a meno di essere capace di sistemare la molla.

Salì le scale con calma e al terzo piano si fermò a leggere i nomi. La porta di Manara aveva due serrature. Quella blindata a doppia mappa avrebbe richiesto del tempo. Ma era certo che Manara non la tenesse chiusa mentre era in casa. L’altra era una passeggiata.

Dieci secondi dopo la porta era aperta e lui stava in silenzio ad ascoltare un televisore acceso. Accostò la porta senza chiuderla per non far rumore.