Home

Il cantante di blus - Capitolo 33

XXXIII.

Il lunedì di Michele in Teorema era stato durissimo. Poco prima delle nove di sera, arrivato sotto casa, mise la macchina sulle strisce pedonali. Di solito evitava accuratamente di farlo. Non per il timore di dover rimpinguare le entrate comunali, cosa che certo non era piacevole, ma per un senso civico che sempre più spesso sentiva fragile nella frenesia della ‘vita moderna’, e a cui si aggrappava per mantenere il rispetto di sé sopra di un livello minimo accettabile.

Quella sera, però, l’avrebbe lasciata al centro della strada se non avesse trovato quel buco. Era stanco, di cattivo umore e il suo mal di testa aveva deciso di infrangere ogni primato.

Forse avrebbe fatto lo stesso, anche se avesse saputo che in quel momento tre paia d’occhi erano attenti a ogni sua mossa.

Entrò in casa e accese il televisore. I telegiornali cavalcavano ogni tragedia di cui non fosse vietato parlare, mostravano un carosello di facce di media-politici, che pontificavano su tutto e il contrario di tutto, riservandosi la facoltà di cambiare idea il giorno dopo.

Era indeciso. Per prendere un farmaco efficiente avrebbe dovuto prepararsi la cena e non ne aveva alcuna voglia. Ripiegò su qualche sandwich, raffazzonato con quello che nel suo frigo non aveva ancora superato la scadenza. Di solito si accorgeva che qualcosa nel suo frigo era andato a male, solo quando lo vedeva muoversi e pulsare di attività biochimiche.

Gli sembrò di sentire un rumore all’ingresso, ma non ci fece troppo caso. Finché non sentì una voce alle sue spalle che di certo non veniva dal televisore.

«Buonasera!»

Si girò di scatto, sorpreso ma non ancora spaventato. Vide un uomo sorridente, e questo lo rassicurò un po’, tanto da consentirgli di parlare.

«Chi è lei? Com’è entrato? Cosa desidera?»

«Desidero che mi racconti delle cose, Miché. E non facciamo scherzi» rispose ‘O Zicchinett mostrando la pistola.

Adesso sì, aveva decisamente paura.

«Senti» riuscì a dire «Se vuoi soldi, non ne ho molti, ma ti do tutto».

«Michè, non fare lo scemo. Tu lo sai che voglio»

«No, non lo so. Dimmelo e io faccio il possibile»

«Michè, tu mi darai il possibile e pure l’impossibile, se te lo chiedo, è chiaro?»

«Sì».

«Siediti!»

Michele si sedette sulla sedia che gli veniva indicata e si rese conto che ‘O Zicchinett armeggiava per legarlo da dietro. Sentì i lacci che stringevano le caviglie e i polsi ai montanti della sedia.

Non sapeva dire se fosse un buon segno. Se lo aveva legato, non voleva ucciderlo, almeno non subito. Ma del resto si era fatto vedere in faccia, quindi era assai probabile che avesse intenzione di farlo comunque. Forse prima voleva qualcosa. Sprecò un attimo a chiedersi come faceva a pensare così lucidamente pur essendo dal lato sbagliato della pistola, prima di decidere che, qualsiasi cosa volesse da lui quel tizio, doveva temporeggiare.

«Senti, dimmi cosa vuoi, non faccio resistenza, è inutile che mi leghi».

«Adesso non fai storie, ma quando userò questo, forse le farai» disse esibendo il suo torcipollici «tu lo sai che è questo?» disse alzando il volume del televisore.

Michele non rispose. Non sapeva cosa fosse quell’oggetto, ma di certo non prometteva niente di buono.

Con un gesto rapido, ‘O Zicchinett passò intorno al viso di Michele un bavaglio e lo legò prima che lui potesse rendersi conto di quanto accadeva.

«Ah!» fece ‘O Zicchinett sedendosi ad ammirare la sua opera «Mo’ possiamo parlare un po’ in pace, eh?». Michele rimase in sienzio. «E va bene, non puoi parlare, ma mi puoi sempre fare sì o no con la testa. Non è vero?».

Michele annuì.

«Bravo! Adesso parliamo un po’ del nostro amico cantante, eh? Che ne pensi?».

Michele si rese conto che si trovava di fronte a un emissario di Don Vittorio. Ma Antonio non poteva averlo tradito così.