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Il cantante di blus - Capitolo 1

I.

Il telefono interno riportò Michele sulla terra. Si era distratto, immerso nella lettura di una e-mail, e aveva lasciato che squillasse otto volte.

Rispose senza voglia: «Manara».

«Che fine hai fatto?». Era Giorgio, come al solito in ansia quando aveva un orario da rispettare. «Ha chiamato Frattini, dobbiamo andare, muoviti!».

«Ma devo proprio esserci?»

«Sei impazzito? Hai sentito che ha detto stamattina. Dovrai farla tu questa cosa. Io ci sono per l’ufficio legale e Goppion per le risorse. I tedeschi vengono ad affidarci questo compito per tutto il gruppo».

«Che palle. Sì, vengo, vengo. Non ti agitare, ci vediamo in sala conferenze tra dieci minuti».

Da quando la Teorema era stata assorbita dal gruppo tedesco Treue, le cose andavano di male in peggio per i dipendenti. Con sorprendente ingenuità, i dirigenti tedeschi pensavano che le loro soluzioni fossero universali, e si adattassero anche ai lavoratori italiani. Non avevano capito che in Italia le cose funzionano, sì, ma… in modo diverso.

La novità recente era il Knowledge Management, vale a dire la gestione dei processi di conoscenza. Per quelli che non amano le figure retoriche evocative, si tratta di realizzare: ‘io so una cosa e la pubblico, così chi vuole saperla la cerca e la conosce. Se non so una cosa, la cerco tra quelle pubblicate e la conosco’. Una sorta di fusione delle conoscenze frammentate. Per tutti una novità assoluta. Tranne naturalmente per quelli che, nei secoli, hanno frequentato una biblioteca.

«In una società basata sull’informazione, la capacità di organizzare e di gestire la conoscenza è un requisito decisivo per un’azienda di successo» aveva detto quella mattina l’allampanato direttore generale Amilcare Frattini a Michele e Giorgio. Michele era certo che l’avesse imparato a memoria molto prima di capirne il significato. A volte sembrava così distante da quello che diceva, da dare l’impressione di stare lui stesso ad ascoltarsi, senza peraltro capirci granché, come un guitto alle prese con un copione complicato.

Il succo della faccenda per Michele era purtroppo questo: qualcuno doveva occuparsi di questa cosa perché i tedeschi la pretendevano per rispettare i loro standard. Frattini aveva scelto lui. Alle 15:00 in punto, in sala conferenze erano in programma un briefing sul nuovo servizio, la presentazione del responsabile, la definizione degli obiettivi e la pianificazione delle risorse. Con i tedeschi. Punto.

Il peggio era che il servizio doveva essere realizzato con l’ausilio di una struttura informatica, un K.M.S. Knowledge Management System (gli informatici non possono proprio fare a meno degli acronimi) creata appositamente, che consentisse di condividere le conoscenze tra le sedi del gruppo nei vari paesi, attraverso la rete internet. E Michele temeva che qui potessero nascere molti dei problemi futuri.

 

La sala conferenze era desolante. Su novanta posti a sedere erano presenti 15 persone, e bisognava anche considerare che c’era qualche curioso venuto a vedere i tedeschi chi avessero mandato. L’ultima volta era venuta Helga Shucko, una bionda da urlo, che fece il pienone e strappò applausi a scena aperta, anche se nessuno ha mai capito cosa dicesse.

Frattini, da buon ospite, fece gli onori di casa e, quando quasi tutti furono seduti, c’era più gente sul piccolo palco che nelle poltroncine.

«Potevamo andare in sala riunioni» disse seccato a Marco Goppion, il più servile dei suoi collaboratori, evitando con cura di farsi sentire dal capo della delegazione tedesca. Goppion corse a chiamare il solutore dei problemi dell’edificio.

Giovanni Morrone era il custode tuttofare della Teorema. Come faceva sempre in questi casi, corse a fare un giro di cortesi inviti negli uffici, a nome del gran capo, e riempì la sala di colleghi, addetti alle pulizie, sfaccendati vari dell’azienda, felici di occupare una o due ore in una perdita di tempo, tanto per cambiare autorizzata.

Il sorriso tornò sulle labbra di Frattini che, dopo le presentazioni, cominciò a introdurre l’argomento: «In una società basata sull’informazione, la capacità di organizzare e di gestire la conoscenza…».

Michele sorrise tra se, non potendo sogghignare in pubblico.

 

Due ore dopo, ma gli erano sembrate venti, uscì insieme Giorgio dalla sala conferenze, con gli occhi ridotti a due fessure e un principio di uno dei suoi colossali mal di testa.

«Manara… Sartori…». Era ancora Frattini che, accompagnati i tedeschi all’ascensore, tornava verso i distributori del caffè. «Ottimo lavoro. Forse cinque persone sono troppe per questo progetto, ma… vedremo. Se Goppion dice che si può…» disse ostentando una fretta, di certo fasulla, mentre si dirigeva verso il suo ufficio.

Per mettere nel gruppo tutti i suoi amici di sempre, Michele aveva dovuto ricattare e imbonire Marco Goppion, viscido responsabile delle risorse umane, legato a doppio filo con Frattini da chissà quali relazioni politiche, e a lui sottomesso in modo nauseante.

In realtà era proprio quello il gruppo che Frattini aveva in mente per quel progetto. Ma voleva che Michele lo ottenesse come una concessione, e che finisse per essere in debito con uno dei suoi. Quando Michele lo capì, cominciò a vederlo con occhi diversi.

 

Qualcuno gli aveva detto, o forse lo aveva letto da qualche parte, che il caffè amaro, come tutti gli alimenti dal gusto forte o spiacevole, stimola le endorfine che diminuiscono la sensibilità al dolore e istigano sensazioni di euforia. Non che Michele ci credesse troppo, ma continuava per abitudine a prendere il caffè amaro per farsi passare il mal di testa. E la cosa continuava a non funzionare.

Davanti al distributore Giorgio si fermò ad aspettare Manuela, che dal fondo del corridoio veniva verso di loro con la massa di capelli ramati che ondeggiava ad ogni passo. La sua amica del cuore, parrucchiera dilettante, l’aveva convinta a tagliarli un po’ più corti, ma il consiglio era risultato un disastro. I capelli si erano gonfiati, e lei era stata sul punto di ucciderla. Anche legandoli, le restava una fulva criniera che la faceva assomigliare a uno scovolo industriale per ragnatele. Ma nemmeno un aspirante suicida glielo avrebbe mai detto.

«Allora, ce l’avete fatta? Siamo di nuovo un gruppo?» disse ai due mentre li baciava fugacemente.

«Già» rispose Michele.

«E abbiamo anche Beatrice e Luca con noi» gli fece eco Giorgio.

«Grande! Ci siamo tutti allora. Stasera al Salaria a festeggiare».