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Il cantante di blus - Capitolo 28

XXVIII.

L’atrio dell’ospedale era caotico. La gente sembrava affrettarsi disordinatamente, ricordando a Sandro il facit ammuin attribuito al codice di navigazione della regia marina borbonica.

Secondo quello che si rivelava poi un abile falso storico, questo comando, dato in occasione di visite ufficiali di alte autorità, obbligava a tutti i marinai a correre in lungo e in largo per la nave, fingendosi molto indaffarati.

A volte, quando era di buon umore, pensava che avrebbe dovuto adottare un ordine simile anche con i suoi uomini. Sarebbe stato divertente.

Ma l’atmosfera che si respira in ospedale aveva sempre fatto un cattivo effetto sul suo umore. Sua madre diceva che si sbagliava, che era un posto di cura, in cui la gente entrava malata ma molto spesso guariva. Lei aveva fatto l’infermiera in un posto come quello per oltre trent’anni. Ma non aveva avuto ragione. Era in un posto come quello che era morta.

Da allora in Sandro si era intensificato il fastidio ad entrare nei santuari della salute, come li chiamava lei. Sosteneva che dipendesse da tanti fattori, ma non avrebbe confessato a nessuno che, quando guardava di spalle una qualsiasi infermiera corpulenta e di statura media, aveva una irrazionale mistura di terrore e speranza che, quando si fosse girata, avrebbe visto il viso di sua madre.

Sapeva pure che questi erano elementi di rilevanza psicoanalitica, ma non gli era mai sembrato il caso di approfondire.

Cercava di evitare, con le scuse più fantasiose, le pur frequenti occasioni in cui il lavoro lo portava in un ospedale. Ma quella volta voleva parlare con Morrone e doveva farlo lui.

«È cosciente?» la domanda l’aveva posta al medico. Non riusciva a rivolgere la parola all’infermiera che l’aveva accompagnato in sala visite. L’aveva incontrata nel box di terapia intensiva, e, fatalmente, era di spalle. Quando si era girata, il suo viso ovale, molto diverso dallo spigoloso viso della madre, gli diede un attimo di respiro ma non sciolse il disagio.

«È vigile, ma da qui a essere cosciente…»

«Che intende?»

«Vede dopo un trauma simile non si ha una perfetta lucidità. La memoria ritorna lentamente, e spesso non del tutto».

«Ah, bene! E io che pensavo di poter sapere qualcosa di utile»

«Gli ho detto che sarebbe venuto per interrogarlo. Le do qualche minuto per parlarci, ma poi deve lasciarlo riposare»

Morrone era sul letto e non sembrava molto presente. Ma quando Sandro si presentò, sorrise e abbozzò un saluto militare. Sandro, ricordando di aver letto sulla sua scheda di un passato in polizia, sorrise benevolo. I poliziotti spesso usavano schernire i carabinieri con quel gesto.

«Come va?» gli chiese sedendosi.

«Na’ schifezza tene’, come deve andare?» disse con evidente sforzo «mi hanno dato ‘na botta esagerata, e in più aggia fatt’ ‘na figura ‘e merda».

«Hanno? Quanti erano?»

«Penso due. Uno mi ha sorpreso da dietro la porta con una mazza o ‘na cosa del genere».

«Se la sente di vedere qualche fotografia?»

«Si, ma mi dovreste prendere gli occhiali, là sul comodino».

Sandro gli passò gli occhiali e cominciò a mostrargli le schede.

«Non so. Mi ricordo poco di quello che è successo: c’era uno alla scrivania, e aveva gli occhiali rotondi. Nessuno di questi ce li ha gli occhiali» continuò a sfogliare cercando di concentrarsi, mentre Sandro aspettava paziente «Forse potrebbe essere questo, o questo qua, ma quanto sono alti? Quello alla scrivania doveva essere alto parecchio. Piegato come stava, arrivava fino a sopra lo schermo del computer».

Sandro consultò le schede. Dei due che Morrone sembrava aver riconosciuto, uno era alto meno di un metro e sessanta, l’altro quasi uno e novanta. «Trovato!?» pensò titubante.

Quando anni prima, dopo una rissa in un bar, gli avevano scattato quella foto, occhialini tondi stava strizzando le palpebre nel tentativo di combattere la miopia, mentre ancora si chiedeva sotto quale tavolo potevano essere finite le sue preziose lenti.

«Tenente, ora deve lasciarlo». A parlare era stato il dottore, entrato alle spalle di Sandro. Lo aveva quasi fatto sobbalzare, immerso com’era nei suoi pensieri.

«Sì, certo, vado. La saluto signor Morrone, tanti auguri».

«Grazie, mi faccia sapere se li trova quei due, che poi ci voglio parlare da solo qualche minuto».

«Senz’altro» rispose Sandro con un sorriso.