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Il cantante di blus - Capitolo 30

XXX.

Michele stava tentando un parcheggio acrobatico, come gli piaceva definirli da quando viveva in una zona in cui posteggiare era quanto di più vicino al miracolo si potesse compiere. Cercava di infilarsi tra un enorme furgone malandato e un bidone della spazzatura. Il sacrificio della lunga manovra era stato ripagato dal fatto che aveva trovato posto proprio nell’isolato dove viveva.

Quando scese guardò felice il risultato dei suoi sforzi. La ruota posteriore era sul marciapiede e doveva sperare che quelli del furgone non avessero da scaricare, altrimenti non potevano che farlo salendogli sul cofano, ma nel complesso era soddisfatto.

«Michele!»

«Ciao…» Michele fece un mezzo prodigio per dissimulare la sorpresa e l’agitazione che la vista di Sandro gli trasmise.

«Come mai da queste parti?» riuscì a dirgli senza troppe esitazioni.

«Passavo di qua…»

«Cazzate, non è vero?»

«Sì, è una bugia. Volevo parlarti di questa indagine, se hai un minuto».

«Certo, vuoi salire da me? Io abito là». Michele gli indicò l’ingresso.

«Lo so, lo so» disse Sandro con fare allusivo.

«Accomodati» disse Michele, una volta entrato in casa.

Lo condusse nella spaziosa cucina, dove due divani campeggiavano davanti al televisore.

«Allora, eccoci qua…»

«Sandro, sai che quando sei imbarazzato sei pietoso?»

«Sì, me lo dicono a volte»

«Avanti, spara… oh, scusa»

Sandro rise e si mise più comodo.

«Michele ho un problema. Ho parlato con Morrone…»

«Ah, come sta? Io non sono riuscito ancora ad andare…»

«Sta meglio, ma non mi è stato di aiuto. Forse ha riconosciuto uno dei suoi assalitori, ma non è del tutto lucido e quindi…»

«Qual è il tuo problema?»

«Quella gente non è venuta nella Teorema per la società, ma per te. Hanno preso dei dati personali tuoi dal computer e poi lo hanno messo fuori uso».

Un brivido corse lungo la schiena di Michele. Come aveva fatto a capire così tanto in così poco tempo? E come avrebbe fatto ora lui a confessargli tutto? Dopo avergli nascosto la verità, era difficile cambiare rotta. Decise che doveva tenere la linea stabilita.

«I miei dati? E che ci fanno con i miei dati. Sul mio computer non conservo dati personali che abbiano qualche valore» disse trovando il modo di apparire sincero grazie all’ultima parte della frase, in cui anche lui credeva. Riteneva davvero che quel racconto non avesse valore.

«Io non lo so. Speravo potessi dirmelo tu».

Sandro lo fissò con un’espressione indecifrabile. Continuava a martellargli la testa l’idea che Michele gli nascondesse qualcosa. Doveva spingerlo a parlare, o almeno a fare qualche cosa di indicativo. Nel secondo caso avrebbe provveduto a sorvegliarlo adeguatamente per scoprire cosa.

«Senti Sandro, io proprio non so che dirti. Se vuoi ti mostro quello che ho nel mio computer. L’abbiamo ripristinato e, a parte alcune e-mail personali e poche altre cose, non c’è nulla. A chi potrebbero interessare?»

«Va bene, facciamo così: martedì o mercoledì vengo con il nostro esperto del RIS e faccio fare tutti i rilievi sul tuo computer» disse mentre si alzava, e pensò che questo avrebbe potuto dare a Michele una piccola scossa «Ora ti lascio, devo andare».

 

Quando Sandro scese andò a sedersi in macchina ma non mise in moto. Chiamò in ufficio e si fece passare Manzetti.

«Partiamo da adesso. Il soggetto è a casa. Io aspetto che arrivi il primo di voi. Se ci sono novità richiamo».