Home

Il cantante di blus - Capitolo 34

XXXIV.

Il pianerottolo era buio. Sandro aveva detto ai colleghi di non accendere la luce delle scale e, una volta tanto, Govoni non aveva fatto cazzate. Dalla porta proveniva l’audio di un televisore. Considerò per un istante che era davvero troppo alto per uno che ha un’ospite ma, prima che potesse lanciarsi in elucubrazioni sull’argomento, si appoggiò alla porta e scoprì che era aperta.

Fece segno a Manzetti e Govoni di non fare rumore e diede l’ordine di ingresso. Prima lui, poi Manzetti. Govoni fuori per controllo ed eventuali rinforzi. Tutto questo nel muto codice di segni che la lunga esperienza e i manuali operativi avevano trasformato in linguaggio.

Spinse lentamente la porta e l’audio del televisore inondò il pianerottolo. Si preoccupò che qualcuno dei vicini potesse aprire la porta in quel momento per lamentarsi. Sarebbe stato molto spiacevole. L’atrio della casa di Manara era illuminato solo dal riverbero della luce accesa in cucina.

Per fortuna Sandro conosceva la casa, pur essendoci stato solo una volta. Per una deformazione professionale, che lui chiamava allenamento, ogni volta che visitava un nuovo ambiente ne studiava i dettagli, come se dovesse diventare un terreno di scontro. Spesso era stato un esercizio utile. Forse lo sarebbe stato anche questa volta.

Si avvicinò alla porta aperta della cucina con Manzetti a coprire la parte buia della casa. Sentì qualcuno che parlava nella confusione creata dal televisore.

«… Adesso parliamo un po’ del nostro amico cantante, eh? Che ne pensi?».

Sandro non riusciva a vedere l’interno della cucina, ma decise di aspettare che i due dicessero qualcosa di compromettente prima di rivelare la sua presenza.

Quando Manzetti tornò da una veloce esplorazione del resto della casa, indicandogli che non c’era nessun altro, lui si avvicinò allo stipite per ascoltare meglio.

«Mi devi solo rispondere a qualche domanda e ti lascio stare. La tua amica ha letto il racconto. Qualcun altro sa la storia?»

«Mmh».

«Miché, non fare il fesso. Se mi dici nessuno e poi scopro che non è vero… lo sai che ti faccio fare una brutta fine. Come a quella guardia».

Stavano minacciando Michele. Sandro era indeciso. Il suo aggressore stava parlando, e forse avrebbe dato indicazioni utili all’indagine se lo avesse lasciato parlare. Un intervento a questo punto, invece, gli avrebbe impedito di sapere. Solo dalla voce non riusciva a capire se l’aggressore era di spalle alla porta. Sarebbe stato tutto più facile così. Ma ne dubitava. Se era un professionista non si sarebbe fatto fregare così facilmente.

«Hai ancora copie del racconto?»

«Mmh».

Sandro cercava disperatamente di capire.

«Guaglio’ tu non mi devi fare incazzare! Voglio sapere tutto, è chiaro?»

Sandro sentì un rumore attutito e capì che l’aggressore stava colpendo Michele. Non poteva aspettare oltre. Si girò verso Manzetti e gli fece altri segni.

Poi estrassero le pistole e Sandro entrò nella cucina urlando «Fermo!». La luce dei neon era più forte di quanto Sandro si aspettasse e impiegò un istante di troppo a inquadrarlo nel mirino.

Nello stesso istante in cui Sandro varcò la soglia, ‘O Zicchinett’ che aveva ancora alzata la pistola con cui aveva colpito Michele, fece fuoco due volte, per riflesso.

La prima pallottola finì nelle piastrelle alle spalle di Sandro che, colto di sorpresa da una reazione così rapida e violenta, si era lanciato d’istinto sul fondo della cucina. La seconda si infilò nel braccio sinistro, facendolo ruotare in una piroetta quasi comica.

‘O Zicchinett fece l’errore di seguire con lo sguardo l’intruso che si accasciava e non si avvide di Manzetti che, entrando, gli sparò tre colpi in rapida successione. Una macchia rossa gli si allargò rapidamente sul torace. Fu l’ultima cosa che riuscì a vedere prima di crollare a terra.

Manzetti sapeva che era morto, ma si precipitò lo stesso a controllare e a raccogliere la pistola. Diede un’occhiata a Michele che, spavento a parte, sembrava stare bene. Poi corse da Sandro per accertare la gravità della ferita.

In quel momento Govoni entrò con la pistola spianata e una faccia grigio topo.

«Posa il giocattolo e chiama un’ambulanza, muoviti!»

«Sissignore… cioè, va bene… insomma…»

«Ti dai una mossa?»

Manzetti vide il foro d’entrata della pallottola nel bicipite, pochi centimetri più giù della spalla. Era stato fortunato, anche se la pallottola non era uscita. Sarebbe bastato un soffio più all’interno per raggiungere il cuore.

«Niente di grave, Tenente. Ora le fermo l’emorragia».

Si sfilò la cintura e la passò intorno al braccio. Strinse forte.

Sandro urlò a denti stretti cercando di contenersi, mentre si domandava «Ma ‘sto Mazzetti è pure infermiere?».

Nel frattempo Govoni, chiamata l’ambulanza, aveva liberato Michele che si era avvicinato.

«Non sai che piacere vederti» gli disse con la voce ancora insicura e il battito a mille.

Poi indicò la spalla «Fa male?»

Sandro rispose a fatica «No, è solo un graffio… ahh! Come cazzo fanno a dirlo nei film? fa un male cane!»

Michele, nonostante tutto, riuscì a ridere mentre sentiva una sirena avvicinarsi.