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Il cantante di blus - Capitolo 36

XXXVI.

Quando Michele entrò, Sandro stava trafficando con un moderno lettore mp3, evidentemente in difficoltà. Aveva un braccio bloccato e fasciato, il colorito pallido e un livido sulla parte sinistra del viso, dove aveva sbattuto cadendo.

«Complimenti, bella cera. Sembri uscito dallo shaker di un barman impazzito».

Sandro, col braccio buono, lanciò l’infernale strumento che aveva in mano sul comodino «Sarai bello tu, dopo la notte che hai passato coi colleghi».

«Non ti commuove il fatto che sono venuto qui, invece di andarmene a dormire?»

«No, non sono commosso. So perché sei qui».

Sandro si era fatto improvvisamente serio, e Michele poté osservare l’animo di sbirro che era in lui comporsi nella smorfia del suo viso.

La cosa lo spaventò ma era deciso a tenere duro. Non fece commenti sulla divinazione di Sandro circa la sua visita, così fu lui a riprendere.

«Sei venuto perché vuoi sapere come mi sono trovato dentro casa tua mentre qualcuno cercava di ammazzarti, perché vuoi sapere a che sto con l’indagine su Morrone, e infine, ma solo infine, per ringraziarmi di averti salvato il culo»

«eh…»

«eh, un cazzo. E in cambio non mi vuoi dare uno straccio d’informazione, e mi tieni nascoste le cose. E le tieni nascoste pure ai colleghi».

Evidentemente la telefonata di Sandro a Manzetti, non era servita solo a comunicare il suo stato di salute.

«Io non…»

«Aspe’ Miche’. Non ho finito. Non mi hai detto niente. Chi è il cantante? Cos’è il racconto? Questo Zicchinett è venuto a casa tua con l’attrezzatura completa da tortura. Voleva sapere qualcosa da te, e vorrei saperla anch’io. Solo che io non ti ammazzo, ti salvo la vita».

Michele rimase senza parole. Non poteva negare che lui avesse ragione, né sarebbe servito provarci. Ma neppure poteva dirgli tutto, se aveva deciso di salvare Pino.

Questa storia stava facendosi pesante.

«Senti, mettiamo che ti racconto una storia ipotetica dove una serie di personaggi fanno cose non troppo corrette. Tu che genere di decisioni puoi prendere, quanta discrezionalità puoi avere?»

«Io ho tutta la discrezionalità che la legge mi consente di avere» disse Sandro cercando di non apparire troppo ligio, per lasciare a Michele lo spazio per parlare. Sperava che non trasparisse troppo la sua trepidazione.

«Questa non è una risposta».

«Sì che lo è. Michè… non mi fare incazzare».

«Facciamo così: io provo a raccontare qualcosa e tu mi fermi quando capisci che non dovresti sentire altro».

«Questo non è un accordo».

«Sì che lo è. Sandro… non mi fare incazzare»

Sandro tacque per non prendere impegni, ma Michele lo considerò un patto.

«Un giorno alcuni amici parlavano a vanvera di un artista che, a loro dire, non aveva più lo smalto di un tempo. Cazzeggiando, si persero nella congettura che questo artista fosse morto e fosse stato sostituito da un sosia. Uno di questi…»

«…il più cretino…» intervenne Sandro che intuì di chi si parlava.

«Sì, va bene, il più cretino…» rise Michele, riprendendo a raccontare «…decise, non avendo veramente un cazzo da fare, di scrivere un racconto in cui si concretizzava quella fantasia. Un’opera discutibile, che suscitò però un inatteso quanto sgradito interesse, soprattutto in persone che non apprezzavano la sua verosimiglianza».

«Fermati».

«Adesso ho cominciato…»

«E ti fermi… Io non posso continuare ad ascoltarti e poi fare finta di non aver sentito».

Michele ci pensò un attimo.

«Non ti chiederò di farlo. Alla fine prenderai la tua decisione. Ecco qua…» Michele gli mise in mano la copia del racconto che aveva ancora con sé.

«È questo?» chiese Sandro titubante.

«Sì». Michele si mise comodo sulla sedia, incrociando le braccia, come chi si disponga ad aspettare, invitando implicitamente Sandro a leggere.

Dopo venti minuti Sandro disse «Non ci credo».

«Nemmeno io ci credevo».

«Adesso mi devi raccontare il resto. Tutto quanto»

Ci mise un’altra ora e mezza a raccontare tutto quello che era successo dopo, comprese le sue congetture. L’unica cosa che non riuscì a spiegare a Sandro fu l’istintiva fiducia che aveva in Pino.

«So che cosa significa» disse Sandro «capita spesso anche a me nel mio lavoro. Ma non sempre il consiglio dell’istinto è giusto. Ho avuto la stessa sensazione quando ho conosciuto te. Però tu mi hai riempito di balle e mi sono beccato una pallottola».

«Sandro…»

«Dai, non fare lo stronzo. Scherzavo».

Passò qualche minuto, durante il quale Sandro pensava a cosa fare e Michele non sapeva cosa dire.

Finirono con il parlare contemporaneamente.

«Che si fa…?»«Io credo che…»

Risero, ma Michele riuscì a dire «Prima tu».

«Credo che questa storia è un bel casino. Don Vittorio Cardamone. Porca puttana. Suo figlio».

«Eh!»

«Sarebbe bello far saltare tutto fuori…»

«Ma…?»

«Ma non è facile provare quello che dici. Immagina un momento come collegare il tizio morto a casa tuo con Don Vittorio. Non c’è modo. Abbiamo in mano solo Giannini, che a questo Zicchinett manco lo conosceva, a quanto dice».

«Chi è Giannini?»

«Amedeo Giannini, il ladruncolo che spaccia informatica rubata e che ha lasciato un’impronta sul tuo computer. Ora so cosa cercavano» disse Sandro, scuotendo il rotolo che aveva fatto con le pagine del racconto.

«Pare che sia venuto con un altro di cui Morrone ha fatto un riconoscimento vago, e che stiamo cercando per poterlo interrogare. Ma, anche se lo becchiamo, non ne verrà fuori niente. Non tradirebbero mai Don Vittorio».

«E il figlio scomparso, e la morte di Pino?»

«Guarda che a noi ci rovina la televisione. Tra fiction in cui la scientifica e i RIS fanno salti mortali tripli carpiati, e salotti di talk show dove si moltiplicano i plastici delle case del delitto, la gente pensa che noi possiamo fare quello che vogliamo. Salvo risolvere il caso, ovviamente.

«Ma qui il fatto è difficile. Su che basi chiederei un mandato per avere il DNA di un cantante famoso? E per confrontarlo con quale campione? Uno spazzolino di vent’anni fa? Potrei, forse, provare che è figlio di don Vittorio, ma dato che mater semper certa est, pater numquam, non è nemmeno sicuro. E inoltre questo non proverebbe che non è Pino Daniele. Al massimo proverebbe che Pino Daniele è il figlio di don Vittorio».

«Ancora con il latino?» sorrise Michele.

«Mi do un tono. Ma a parte tutto, mi renderei ridicolo con quest’indagine. Per l’effrazione nel tuo ufficio e la botta a Morrone, ho un colpevole, forse due se il riconoscimento di Morrone si fa meno nebuloso. Posso stabilire mezzi, occasione, ma non un movente. Anche se coi loro precedenti non mi serve.

«Circa l’aggressione casa tua ho tutte le prove che voglio, e noi eravamo lì a sorvegliare te in relazione all’effrazione, naturalmente. Ma ho anche un cadavere a cui non posso chiedere perché ti voleva torturare e forse uccidere».

«Ti resto solo io» disse alla fine Michele.

Sandro assunse un’aria seria «infatti. Un pazzo farneticante di complotti e di sostituzioni di identità che non si possono provare. Perfetta conclusione di un’indagine del cazzo».

Michele lo guardò colpito dall’ultima frase. Gli venne il dubbio che Sandro davvero non credesse a quello che gli aveva raccontato.

«Michè, vattene a dormire, che mi fai riposare pure a me. Anzi passami quell’arnese che mi sento un po’ di musica buona invece di stare a sentire a te».

Michele meccanicamente gli passò l’apparecchio e si avviò lentamente alla porta. Nell’uscire sentì che il lettore di Sandro, cui lui aveva sfilato le cuffie, era finalmente partito.

Si voltò a guardarlo mentre lo stupore si trasformava in comprensione. Sorrise vedendolo ascoltare ad occhi chiusi la selezione, senza dubbio premeditata, e fingere beatamente di ignorarlo.

… simmo lazzari felici/ male 'e rine ma nun se dice/ musicante senza permesso 'e ce guardà'/ e cu 'e spalle sotto 'e casce/ nun se sente cchiù l'addore 'e mare…