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Il cantante di blus - Capitolo 38

XXXVIII.

Mario aveva fatto qualche resistenza a spostare dalla domenica di chiusura al giovedì la sua festa di compleanno. Pur essendo un giorno moscio, il giovedì era pur sempre attivo. Il mancato guadagno è la bestia nera di ogni commerciante.

Lo convinse la promessa di una grande sorpresa, ma forse di più il fatto che l’attivo infrasettimanale era quasi esclusivamente imputabile ai suoi amici della Teorema.

Ancora non era persuaso quando il martedì sera aveva messo il cartello ‘Giovedì sera chiuso - festa privata’ all’ingresso del locale.

Ma cominciò a farsi trascinare dall’entusiasmo già dal mercoledì mattina, quando decise il menù e si mise al lavoro.

Il buffet che mise in mostra quando Giorgio e Manuela entrarono nel locale, quel giovedì sera, era impressionante per assortimento e quantità, e presto Giorgio, con qualche assaggio clandestino, ne avrebbe apprezzato anche la qualità. Ma al momento aveva, come Manuela, entrambe le mani occupate.

«Ciao ragazzi, che state portando?» Mario si era affacciato sulla soglia della cucina sentendoli entrare e si stupì di vederli a trasportare grovigli di cavi, quello che sembrava un amplificatore, e un paio di valigette con altro materiale del genere.

«Non lo so, non ne capisco niente» disse Manuela «è roba di Michele».

«Non guardare me» rispose Giorgio alla muta domanda di Mario.

Di solito nel Salaria l’unica fonte di musica era il GoldSound per cui Mario cominciò a insospettirsi, ma non ebbe il tempo per congetturare perché si ricordò d’improvviso che stava cucinando. «Cazzo, le zucchine!» gridò, e corse in cucina a occuparsi dei suoi capolavori.

Fu Bea, arrivata poco dopo, a montare con l’impacciato aiuto di Giorgio, l’impianto audio che sarebbe servito al mini concerto.

Si era ormai in prima serata e gli altri invitati iniziarono ad arrivare. Erano i pochi parenti che Mario aveva in zona e alcuni altri amici, cui si aggiunse qualche altro collega della Teorema. In totale una trentina di persone, anche se Mario aveva preparato cibo sufficiente per un piccolo esercito.

L’atmosfera si fece tesa quando entrò una persona con un braccio fasciato che quasi nessuno riconobbe.

«Buonasera, tenente» Bea fu l’unica che avesse avuto la presenza di spirito di accoglierlo.

«Solo Sandro, la prego. Anzi perché non ci diamo del tu?»

«Volentieri» disse Bea mentre, ascoltando la scusa che Sandro adduceva a giustificare la sua presenza, lo guidava verso i due agitati amici.

«Sandro è venuto alla festa. L’ha invitato Michele» disse estendendo loro il ben confezionato pretesto di Sandro. «È fuori servizio» aggiunse poi, come ripensandoci.

Giorgio e Manuela non fecero in tempo a ribattere perché l’orario fatidico delle 21.00 era scattato e Mario uscì dalla cucina tra gli applausi.

«Buonasera a tutti, signore e signori; grazie di essere venuti»

Seguì un coro di sfottò di quanti, a ragione, pensavano che Mario avesse preparato quell’uscita formale davanti ad uno specchio, come un attore di quart’ordine.

«Vabbuò, si nun faccio ‘o cretino, nun ve va buono? Allora mo ve faccio vedè io!»

E iniziò a barzelletare nel suo modo contorto, suscitando ilarità fuori tempo, prima del climax della battuta, che per la verità veniva raggiunto di rado, preceduto più spesso da un ‘aspè, questa non mi ricordo come finisce, però è forte!’.

L’avvio fu dato e gli invitati si lanciarono sul buffet, esternando quei comportamenti di composta civiltà che si è soliti vedere in queste occasioni.

«Meno male che Mario ha esagerato» disse Manuela guardando un’irraggiungibile, ma per fortuna abbondante, parmigiana di melanzane.

«Ma Michele? Che fine ha fatto?» era Mario che, sovrastando il rumore della gente e del GoldSound, si avvicinò all’orecchio di Giorgio per porre la domanda.

«Sta arrivando»

«Con la mia sorpresina?». A volte Mario era davvero un bambino.

«Una sorpresona!» rispose Giorgio adeguandosi all’atteggiamento e al linguaggio.

L’accordo con Michele era che Pino sarebbe passato a prenderlo a casa. Gli aveva detto che nel locale ci sarebbe stato un piccolo impianto audio amatoriale, preso in prestito da un amico, così Pino si era portato dietro anche la chitarra acustica che Michele stava trasportando.

Quando Michele entrò, in molti si girarono a guardare la porta. Ma l’attenzione durò pochi secondi dato che gli ospiti, tutti ancora armati di piatti di plastica tenuti in precario equilibrio, continuavano imperterriti nell’opera di demolizione del lavoro di Mario.

Naturalmente i soli che continuarono ad alternare lo sguardo tra la porta e Mario che accorreva ad accogliere Michele, furono Bea, Giorgio e Manuela.

Quando dietro Michele apparve Pino, Mario lo guardò con curiosità, ovviamente senza riconoscerlo. Aveva detto a tutti che potevano portare loro amici e parenti, quindi non si meravigliò.

«Ciao Mario, questo è Giuseppe».

«Ciao, Giuseppe».

«Ciao Mario, tanti auguri» disse Pino sorridendo.

Quella voce…

Mario si illuminò un attimo, ma subito il suo entusiasmo si spense. Mentre Bea e Manuela, seguite a ruota da Giorgio arrivavano a far capannello davanti alla porta, per non perdersi il momento, Mario fece quella che fu poi ricordata, senza mai spiegargliene il motivo, come la sua miglior battuta di tutti i tempi: «È uno scherzo, vero? Non puoi essere quello vero, sei un imitatore!»

Dopo un istante di imbarazzo, tutti risero. Si spostarono verso quello che sarebbe diventato, per quella sera, il palco del concerto e iniziarono a organizzarsi, con Mario ancora incredulo e del tutto imbambolato.

Solo pochi dei presenti, evidentemente sazi del cibo o della zuffa, si interessavano al movimento che si svolgeva dove Bea aveva montato l’impianto.

E te sento quanno scinne 'e scale/ 'e corza senza guarda'/ e te veco tutt'e juorne/ ca ridenno vaje a fatica'/ ma mo nun ride cchiù.

Questa volta, e si sentiva, i quattro minuti e rotti non venivano dal GoldSound: non c’erano fruscii o distorsioni.

Calò un improvviso silenzio, e persino i più agguerriti gladiatori da buffet, smisero non solo di accaparrarsi generose porzioni di leccornie, ma anche di mangiarle.

Appena Pino finì di suonare il primo pezzo, partì un applauso entusiasta e tutti si avvicinarono.

«Buonasera. Siamo qui per festeggiare il compleanno del mio amico Mario, cui va l’applauso che avete appena fatto, e per ringraziare gli altri amici che hanno voluto che stasera, qui, si esibisse un cantante di blus…»

Sono un cantante di blues/ e mi vesto male/ mi piace il vino la birra/ ma adesso bevo acqua minerale/ sono un cantante di blues/ che non si ferma per niente al mondo

Dopo un’ora, ammortizzato lo shock per la presenza di Pino, tutti cominciarono a entrare in confidenza con lui e a fare le solite richieste da concerto, che in un ambiente così piccolo era molto più difficile glissare.

C’era stato persino un brano che Pino volle fare in duetto con il festeggiato. Mario era notoriamente miglior cuoco che cantante, quindi tutti ne invocarono la fine anticipata. Del brano, non di Mario.

Michele dopo un inizio spumeggiante, andò a sedersi e a godersi il concerto, sentendo gli avvenimenti degli ultimi giorni bussare alla porta e presentare il conto in termini di energia.

Era stanco ma felice. Accanto a lui Sandro lo guardò e gli disse «Bel concerto, no?»

«Già. Per pochi eletti. A te chi lo ha mandato l’invito?» disse sorridendo.

«Sono uno sbirro, ricordi. Posso sapere tutto ed entrare praticamente ovunque».

Manuela e Giorgio li raggiunsero al tavolo, seguiti da Bea.

«Mario sta là tutto rincoglionito, e la gente gli sta distruggendo il locale» disse Giorgio ridendo.

«Ho visto un sacco di gente telefonare ad amici e parenti per dire loro che c’era Pino Daniele qui al Salaria. Mi sa che dovremmo chiamare i miei colleghi tra poco.» Sandro sembrava un po’ preoccupato.

«Spero di no, ci rovinerebbero la serata» disse Manuela. «Senza offesa» aggiunse poi fingendo imbarazzo e provocando altre risate.

Michele si alzò e decise di andare a fumare una sigaretta. Non lo faceva da anni, ma questa era una serata speciale. Ne prese una a Sandro e uscì.

Bea lo seguì fuori dopo pochi minuti.

«Non riprenderai a fumare, spero»

«No, è solo una cosa occasionale»

La serata era fresca e Bea sentiva il salto termico dal caldo locale.

«Che storia incredibile» disse rabbrividendo.

«Sì. Dovrei scriverci un racconto. Forse ne verrebbe fuori anche un romanzo».

«Certo. Qui non hai problemi, la storia d’amore non c’è. Anche se potresti inventarla, giusto per vedere se sei cresciuto e ne sei capace»

«Non lo so… vedremo» rispose Michele sorridendo.