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Il cantante di blus - Capitolo 21

XXI.

Il Maresciallo Antonio Farina del reparto scientifico non gli era mai stato simpatico. Quando gli aveva restituito L’FPS, con poco garbo aveva sottolineato che sperava fosse stato usato correttamente. Sandro non aveva fatto una piega. Sapeva per esperienza che se voleva che i RIS collaborassero non doveva farseli nemici.

La sua pazienza diede un solo frutto, ma era importante. Sul computer di Manara era stata rinvenuta un’impronta parziale di pollice estranea al gruppo Teorema.

«Era vicina alla porta USB» disse il maresciallo quando andò a ritirare il rapporto «Quel modello ha le porte in un punto poco accessibile. Deve averci infilato qualcosa e poi per poterlo sfilare ha dovuto togliersi i guanti».

«Chi è?» chiese Sandro

«Amedeo Giannini, un ladruncolo da due soldi fissato con le arti marziali, che spaccia videogiochi pirata, computer e accessori rubati. Le ho allegato la scheda al rapporto».

Insomma avevano trafficato con il computer di Manara. Ma quando aveva visto la Palida metterci mano Michele aveva glissato e sembrava imbarazzato.

Questo Giannini rubava computer. Ma il computer non l’avevano rubato.

«A che servono queste porte USD?»

 «USB tenente, Universal Serial Bus. Sono porte di comunicazione. Servono principalmente a trasferire dati tra il computer e altri apparecchi come dischi portatili, stampanti o scanner» rispose con un contegno volto a sottolineare l’ignoranza di Sandro, che rimase del tutto indifferente.

«Qualcuno può aver rubato dei dati?»

«Sembrerebbe la cosa più probabile».

Ma non era probabile per niente. Secondo l’ingegner Palida per arrivare ai dati aziendali era necessario inserire una password, e comunque nessuno poteva accedervi dai terminali dopo le venti.

Non rimanevano che i dati personali di Michele.

«Allora che se ne fa un ladruncolo dei dati personali di un funzionario della Teorema?» si chiese Sandro quando tornò nel suo ufficio.

È chiaro che c’era andato su commissione. La cosa non riguardava la Teorema, ma Michele. E Michele era reticente, se non addirittura ‘ostrico’. Sentiva che era uno a posto, ma gli nascondeva qualcosa.

Doveva vedere Morrone, ma dall’ospedale ancora non volevano farglielo interrogare.

«Posso parlarci?» aveva chiesto telefonando al medico la sera prima.

«No, tenente. Ha avuto un brutto colpo».

«Che cosa è successo, secondo lei?»

«L’hanno colpito due volte alla testa con un oggetto pesante e arrotondato, un tubo, forse un manganello. Uno dei colpi ha provocato un ematoma subdurale di media entità. Sembra però che gli sia andata bene. La compressione dell’encefalo è modesta. Però ancora non possiamo sciogliere la prognosi. Per sapere qualcosa di certo dobbiamo attendere la riespansione cerebrale, che negli anziani può essere più lenta».

«Dottore, io devo parlare con lui» aveva detto Sandro, che poco aveva capito del linguaggio tecnico.

«Guardi tenente, io la capisco. Deve fare il suo dovere. Ma è fuori questione che le permetta di parlarci adesso. È ancora sedato e riprenderà conoscenza solo tra qualche giorno».

Non c’era altro da fare, quindi, se non indagare su Amedeo Giannini. Alzò il telefono e convocò Andrea Manzetti, uno dei suoi ragazzi più in gamba. Diventato maresciallo a soli 26 anni, era un uomo in grado di destreggiarsi in ogni situazione.

«Voglio sapere con chi lavora o ha lavorato questo Giannini» disse dandogli la scheda «scendi in archivio e fatti dare le cartelle di tutti quelli che avrebbero potuto mandarlo alla Teorema, dei complici abituali, dei complici dei complici, eccetera. Ci vediamo qui quando hai tutto»

«Ehm…»

«Che c’è?»

«Tenente, non serve scendere in archivio. Possiamo fare la ricerca da qui e stampare le schede su quella» rispose impacciato il maresciallo indicando la stampante.

«Oh! Allora fallo, che aspetti?»

Di solito non si rivolgeva così ai suoi uomini, ma lo irritava e lo faceva sentire impotente l’avere un pessimo rapporto con la tecnologia, che pure diventava sempre più indispensabile per il suo lavoro. Il corso seguito di malavoglia l’anno precedente, non aveva dato risultati di sorta, ma evidentemente il maresciallo lo aveva messo a frutto.

Dopo pochi minuti infatti tirò fuori sei schede che risultarono dalla ricerca incrociata di arresti, condanne e ogni altra informazione comune tra Giannini e altri censiti nel casellario e nell’archivio.

Non poteva sorvegliare sei persone senza un minimo di sospetti. Qualcuno gliene avrebbe chiesto conto.

Ma non aveva molte opzioni. L’indagine sembrava ingolfata. Forse doveva cercare di far parlare Michele, che sembrava aver buone ragioni per tacergli qualcosa. Se non poteva sorvegliare sei persone, poteva farlo con una. Ma sarebbe servito?

Mentre pensava si rese conto che Manzetti stava osservando con imbarazzo il suo atteggiamento assente.

«Che c’è?»

«Niente» rispose il maresciallo.

Sandro decise di sorvolare «Quanto tempo ti serve per attivare una sorveglianza continua su Michele Manara? Voglio sapere dove va, che fa, quando lo fa. Insomma tutto quanto».

«Se possiamo farlo con un uomo alla volta, il tempo di organizzare i turni, diciamo… ventiquattro ore. Però…»

«Però?»

«Tenente, lo so che lei… un turno lo faccio io, ma in almeno un altro… insomma devo metterci Govoni. Gli altri sono impegnati».

«Porca miseria, ma quando lo trasferiscono quello?»

«Tra due anni».

«E va bene preparati, ma non far partire la cosa fino a quando non te lo dico».

Manzetti si attivò subito, lasciandolo assorto a sfogliare le schede segnaletiche.

Anche se lottava sempre con se stesso per non fermarsi alle apparenze, Sandro dovette riconoscere che ciascuna foto dava la sensazione di guardare uno spietato delinquente. In particolare quella in cima alla pila.

Forse, se lo avesse saputo, ‘O Zicchinett gli sarebbe stato grato del complimento.