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Il cantante di blus - Capitolo 22

XXII.

Michele era seduto in macchina davanti alla casa. Non sapeva bene perché lo stesse facendo ma voleva vedere chi era questo don Vittorio. Non poteva essere nemmeno sicuro che fosse stato lui a prendere il racconto, ma sentiva che era una buona idea.

La mattina precedente aveva letto la mail di Vincenzo. L’anagrafe era davvero un portento. Oltre ai dati fiscali, che al momento non gli interessavano, vi si poteva trovare ogni informazione saliente sulla persona, dalla nascita, alla composizione del nucleo familiare, dal domicilio alla residenza, insomma meglio di quanto potesse fare in una settimana un’agenzia investigativa.

Così di questo Cardamone aveva letto che era vedovo, con un figlio non residente in Italia, e incassava proventi di numerose e redditizie attività di svariati settori.

Ma, se davvero era stato lui a prendere il racconto, perché l’aveva fatto?

La cosa che lo legava al mondo della musica era la sua attività di produttore, ma né il suo nome né alcuna delle sue aziende sembrava coinvolta nelle produzioni di Pino Daniele. Aveva passato la mattinata a controllare tutti i vari siti sul cantante, ufficiali e non, alla ricerca di un legame ma non aveva trovato niente.

Allora aveva deciso di andare a vedere la casa, magari anche suonare alla porta, fingendosi un rappresentante di enciclopedie o di pentole. Ovviamente era una cazzata da B-movie americano, che, oltretutto, non avrebbe mai avuto il coraggio di fare.

Una berlina coi vetri oscurati uscì dal cancello principale. Michele aveva parcheggiato a una certa distanza, ma anche da vicino non avrebbe potuto vederne gli occupanti.

Cominciò a chiedersi cosa ci facesse seduto in quella macchina a riprodurre un patetico incrocio tra Sam Spade e Jacques Clouseau. Decise di andarsene, poi di restare ancora un po’, poi ancora di andarsene, e andò avanti così per quasi un’ora.

Alla fine scese dall’auto e si avvicinò alla casa. Attraverso la cancellata, lungo il lato destro del perimetro di cinta, si scorgeva il vialetto d’ingresso, immerso in una fitta vegetazione. Curvava verso destra terminando davanti alla costruzione e aveva nell’ultimo tratto, a circa quindici metri dalla strada esterna, un parcheggio a pettine per gli ospiti.

Secondo le informazioni di Vincenzo, don Vittorio aveva dichiarato al fisco, nell’anno precedente, introiti per trecentomila euro. Probabilmente gliene servivano di più solo per mantenere quella proprietà.

Mentre rifletteva su queste e altre piccole sciocchezze, la berlina tornò.

La vide entrare dal cancello principale, distante trenta metri. Poi seguì il viale fino al parcheggio a pettine. Ne uscirono due uomini.

A quella distanza non riusciva a vederne bene uno. Ma quando riconobbe il secondo, ebbe un sussulto e fu preso dall’irrazionale desiderio di scappare. Era Pino Daniele.

Represse quell’impulso di fuga e si costrinse a camminare lentamente verso la macchina, cominciando a far frullare nella testa il significato di quello che aveva visto.

Forse non era nulla. In fondo don Vittorio era un produttore, lavorava con i professionisti, e Pino era un professionista. Non ci aveva lavorato prima, ma magari stava per farlo.

Salì in macchina.

Forse erano solo amici. Forse aveva anche rubato e letto il racconto, aveva chiamato Pino e ora si stavano facendo due risate, o stavano meditando di denunciarlo.

Mise in moto e si avviò verso casa.

Forse… Forse…

Ma chi aveva fatto quel casino nel suo ufficio?

Quella non era gente con cui scherzare.

Adesso era il caso di riferire tutto a Sandro e lasciare che ci pensassero i carabinieri. Ma non riusciva a decidersi a farlo. Ancora non riusciva a credere possibile che stesse accadendo a lui.