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Il cantante di blus - Capitolo 26

XXVI.

Mentre saliva nell’ascensore della Teorema, Michele cercava di concentrarsi sul lavoro. Decise di arrivare in ufficio senza il fardello delle informazioni che aveva ricevuto e che, pur non essendo significative, continuavano ad agitarlo.

Non voleva che i colleghi si accorgessero del suo turbamento, quindi andò di filato nel suo antro, salutando appena quelli che incontrava.

Si sedette provando un assurdo sollievo, che durò appena il tempo di accendere il computer. Manuela, che lo aveva sentito arrivare, apparve sulla soglia.

«Ciao» disse avvicinandosi.

«Ciao».

«Ti ricordi della riunione di stamattina?»

«Che riunione?»

«Ma sei proprio un… che c’è?» Manuela si era interrotta perché, arrivata alla scrivania, aveva visto Michele da vicino.

«E che cazzo, resisto al massimo dieci secondi?» sbottò Michele, arrabbiato, ma nemmeno troppo, con se stesso per non aver saputo dissimulare con Manuela il suo stato di agitazione.

«Lo sai che non mi puoi nascondere niente» disse lei sorridendo «che c’è?»

«Niente, una cazzata… credo».

«Vediamo se lo credo anch’io».

Michele nicchiava, ma Manuela sembrava decisa a non mollare. La resistenza di Michele crollò all’ingresso di Giorgio.

«Allora, si va?» domandò sulla soglia prima di rendersi conto dell’atmosfera che aleggiava nella stanza. «Che succede?» domandò quando vide le espressioni serie dei due.

«Niente…» iniziò Michele

«Niente un cazzo. Michele ha qualche casino. Dalla faccia, direi grosso».

«Di che si tratta?»

«Niente. Io credo sia una cazzata, ma dopo il furto nel mio ufficio non sono più riuscito a trovare la stampa del racconto che vi ho fatto leggere»

«Il Cdb? Beh?» Giorgio non era un tipo pratico. Manuela taceva.

«Credo l’abbiano rubata, che siano venuti per quella e per i file che avevo sul computer, e che l’abbiano rubata anche a Marcella. Sospetto che sia stato Vittorio Cardamone e organizzare la cosa».

«E chi è Vittorio Cardamone?» dissero insieme Giorgio e Manuela.

Michele stava per rispondere quando entrò Bea.

«Ehi? Ma la riunione non era nella sala briefing?»

Anche lei seguì il percorso di Manuela e Giorgio e il suo sorriso si spense mentre entrava e si avvicinava al gruppo.

«Che succede?» domandò in tono canzonatorio Michele prima che potesse dirlo lei.

«Spiritoso. Allora?»

Michele si alzò, andò a chiudere la porta e cominciò a raccontare.

«Ma sei sicuro di aver visto proprio Pino Daniele?» disse Giorgio incredulo, alla fine del resoconto.

«Tu che ne dici? Ti pare un tipo che puoi confondere?»

«Magari eri suggestionato» azzardò Manuela.

«Ma che dici? Certo che era lui. L’ho visto, non era molto distante. E poi la ricerca e gli altri dati convergono verso quest’unica spiegazione».

«Forse è tutta una coincidenza, non so. Uno scherzo?». Giorgio tentava di aggrapparsi a qualcosa.

«Prova a raccontarlo a Morrone».

«Devi parlarne col tenente» disse Manuela.

«Non posso farlo. Gli ho taciuto un sacco di cose. Non so nemmeno se è un reato».

«La verità qual è?»

La domanda era venuta da Bea, che fino a quel momento era stata, come sua abitudine, solo ad ascoltare e a pensare.

Tutti si erano girati verso di lei con aria interrogativa ma lei guardava solo Michele. Era lui a dover rispondere.

«Che intendi? Questa è la verità. Quale altra?»

«Io non lo so. Ma di certo non è del tutto credibile. O lo scherzo lo stai facendo tu, o forse tu hai giocato con qualcosa di pericoloso. Tu lo sapevi che in fondo alla tua teoria c’era qualche cosa di più del fumo, non è vero? E ci hai ricamato sopra per un innocente trastullo, che adesso ti ha messo nella merda. Sbaglio?»

«È una teoria interessante. Ma la tua analisi scientifica stavolta ha fatto cilecca. Ci sono cose nella vita che non sono dettate da comandi e algoritmi. Succedono e basta. Avrei dovuto essere un idiota a sapere qualcosa e scriverci un raccontino da diffondere in giro».

«Infatti».

Michele si trattenne a stento dal lanciarle qualcosa. Ma lo fece perché aveva capito che lo scopo di lei era stato sondare tutte le possibilità, e anche provocarlo un tantino.

«Insomma che vuoi fare adesso?». Era ancora Giorgio ad incalzarlo.

«Niente, che devo fare? Solo…»

Tutti e tre lo guardavano aspettando il seguito.

«Ho chiamato Marcella e le ho chiesto di andare insieme a un concerto di Pino Daniele. Ce n’è uno sabato all’auditorium. Volevo farmi firmare un autografo».

«Tu sei uscito pazzo! E che pensi di fare, incontrarlo e chiedergli se è un sosia?» Manuela aveva parlato di getto ma le espressioni degli altri due dicevano esattamente le stesse cose.

«Ma no, è solo per vederlo… non lo so, non c’è niente di male, no? Porto l’autografo a Mario per il suo compleanno».

«Secondo me, devi dire tutto ai carabinieri» Manuela era sempre più convinta.

«Sono d’accordo» dissero insieme Giorgio e Bea.

«Io no. Sabato vado al concerto, poi decido. Nel frattempo, io non vi ho detto niente».

Ci mise ancora un po’ per convincerli a seguire la sua linea. Ma alla fine ci riuscì.

E così, in netto ritardo, si avviarono alla riunione.