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Il cantante di blus - Capitolo 5

V.

Il venerdì mattina, dopo la serata al Salaria, aveva sempre una partenza difficile. Il mal di testa, che per Michele era un’abitudine ricorrente, quella mattina sembrava voler stabilire un record di intensità e durata.

Il caffè amaro e vari rimedi farmaceutici, non erano riusciti ad altro che a fargli venire anche un feroce mal di stomaco.

Giorgio entrò nel suo ufficio nel momento in cui stava pensando di andarsene a casa.

«Frattini mi ha detto di darlo a te» gli disse mentre gli passava un documento. Era un elenco del personale che avrebbe dovuto iniziare la formazione sull’uso del KMS.

«E poi ti ho messo insieme questi. Te li ho anche mandati via e-mail.» Gli passò un elenco di indirizzi di posta elettronica.

«Che roba è?» riuscì a dire attraverso la coltre che gli annebbiava gli occhi.

«Sono indirizzi di editori e di riviste musicali che pubblicano racconti di autori emergenti»

«E cosa dovrei farci?»

Invece di rispondere, Giorgio fece un gesto di indifferenza, come a dire «io te li ho presi, fanne quello che vuoi»

«Avanti, ragazzi, questa storia la state prendendo troppo sul serio. Non crederai che io mandi il cantante di blus a qualcuno per pubblicarlo?»

«Magari lo mando io a nome tuo»

«Sì certo, vorrai fare il mio agente, immagino. Senti io me ne vado a casa».

«Ancora la testa?»

«Già».

«Non è il caso di andare da un medico?»

«Certo che lo è. Ci penserò».

 

Raggiunse come per miracolo l’ascensore e premette il pulsante aspettandola ad occhi chiusi. Quando finalmente arrivò emise un potente sospiro e li riaprì. Dentro l’ascensore c’era Bea che scendeva dal terzo piano al primo, dove c’era il centro di calcolo.

«Felice di vedermi?».

«Sì, e adesso che ti ho incontrata, ho avuto il massimo dalla mia giornata e me ne vado a casa a passare un deprimente week-end»

«Se non vuoi che sia deprimente, puoi venire con me, domani alla intro di pilates»

«Certo, il pilates mi ha sempre incuriosito! Guarda, non vedo l’ora» rispose, certo che l’ironia trasparisse, mentre le porte del primo piano la lasciavano uscire.

«Ti chiamo domattina allora» disse Bea andandosene.

«Non lo so… vedremo» rispose Michele sottovoce alle porte ormai chiuse. Era sempre stato il suo personale concetto di un rifiuto sgarbato.