A braccio

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d'immagini, parole e altri messaggi - l'ostinato certame della comunicazione
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A braccio
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di Nicola Cirillo, interpretato da Carmela Pirone, copertina (temporanea) di Jack Vettriano


Le parole con cui ti ho raccontato il mio turbamento sembrano ancora sospese nell’aria che ci divide. Mi guardi. Adesso che sai, sembra tutto più semplice ma anche più complicato. Non avrei dovuto mentirti. Non avrei dovuto dirti la verità. Non parli ma sei un fiume in piena. Vorrei andarmene per non vedere ogni piccolo segnale muto che rende chiaro il tuo percorso, dalla sorpresa alla delusione, dall’amarezza all’avversione, fino alla rassegnazione da vaso rotto. Invece resto immobile nell’incanto di questo spettacolo doloroso. Non riesco ad allontanarmi come se da quella sofferenza cominciasse la mia punizione. Un altro genere di condanna.

Passa un tempo infinito e mi trattengo a fatica dal mettermi a divagare con la mente su cose futili o superflue, sempre inappropriate al momento. Come il tempo, appunto. Ho spesso questi accessi di divertimento, nel senso etimologico di di-vĕrtere, volgere altrove sguardo e attenzione, farli deragliare. E quando finiscono, mi trovo sempre fuori posto. Atterro nella realtà e di fronte ho qualcuno che mi dice qualcosa o che vuole una risposta a quello che ha detto mentre non c’ero. Ecco, non volevo fare il mio errore e ci sto ricascando. Sto pensando ad altro. E proprio adesso che potresti dire qualcosa di definitivo, io non posso certo perdermelo e chiederti di ripetere. Devo fare la massima attenzione.

Ti alzi e vai alla finestra. Come se la città di sotto potesse darti qualche risposta, ti metti a osservarla muoversi con il piglio di chi faccia una ricerca scientifica. Ti manca solo il blocco degli appunti. Passa ancora un millennio. E mille volte prendo fiato per dire qualcosa di sbagliato. Ma per fortuna e per miracolo taccio, ché pensare a sproposito non è il mio unico difetto.

Spero che il genio della lampada, o chiunque decida se o se non, si stia anche lui divertendo, volto altrove invece che ai noiosi fatti miei. Spero non mi abbia sentito dire in silenzio che mi piacerebbe conoscere i tuoi di pensieri. Vorrei conoscerli, certo. Ma non è affatto vero che mi piacerebbe.

Ho voluto dirti la verità perché volevo che il rapporto fosse onesto. Sciocchezze. Confessare non ha niente di onesto. Al più ha qualcosa di sincero. L’onestà rifugge la mancanza e non ha bisogno di confessioni. Ecco che ci infilo il moralismo, che è pericoloso per entrambi. Meglio per me e per te non insinuarsi in questo vicolo nero affollato di dubbi e sensi di colpa.

Questa impasse mi uccide.

Ma poi ti avvicini, con l’aria di chi cerca un abbraccio. Non è una supposizione la mia. So che è quello che vuoi. Ti conosco, e ogni sfumatura nel tuo linguaggio del corpo mi parla molto più di quanto non faccia la tua voce.

Io invece non lo so quello che voglio e mi rigiro nelle mie incertezze. E comincio a infilarmi in una delle mie elucubrazioni sull’origine delle cose.

Sull’abbraccio ho una teoria.

La parola è potente ma capirla è la parte facile. È legata all’estremità del corpo umano che più delle altre compie gesti: il braccio, e poi la mano al suo termine. E quel prefisso a- che avvicina, congiunge, e crea il verbo parasintattico abbracciare. Ma la stessa costruzione è mutuata dal latino amplector, abbracciare appunto, che sta anche per cingere, tenere stretto, avvinghiare, intrecciare, avvolgere, accogliere, afferrare, cogliere.

E da amplector ad amplexus, basta un solo respiro. L’amplesso: l’abbraccio che descrive il legame più intimo e più carnale di due corpi.

Ma l’origine della parola non mi basta. È definizione di qualcosa che già esiste. Però non dice niente dell’origine del gesto, quello che vorrei conoscere di più.

Perché l’abbraccio è un atteggiamento universale dell’uomo, trasversale alle culture più diverse e addirittura a specie differenti. Deve avere una genesi legata all’evoluzione umana. Io credo sia il fatto che l’uomo disponga di una limitata rotazione del capo. Guardare dietro di sé è, ed è sempre stata, una strategia di difesa dall’aggressione, un modo per mettere in sicurezza un’area e considerarla adeguato riparo. Ma le vertebre cervicali non consentono un movimento completo e impongono sempre allo sguardo un cono d’ombra.

È dove si concentra ogni inquietudine. È l’area in cui un inseguitore ti rincorre mentre scappi, e non sai quanto è vicino, ché per sapere dove vai non puoi girarti a guardare. È la zona in cui il predatore aspetta paziente il momento per l’attacco. E per quanto guardingo tu sia, anche girarti intorno non servirà: se sposterai lo sguardo, con lui si muoveranno sempre buio e paura al lato opposto.

Ma se c’è qualcuno, di fronte a te, tanto vicino da illuminare quel buio, da sciogliere tutte le paure mentre tu fai lo stesso con le sue, il legame che nasce non può essere che un abbraccio.

Ecco dove credo che possa nascondersi l’origine del gesto: guardarsi le spalle. L’attenzione all’altro, la sicurezza, il piacere e il benessere che viene da una reciproca protezione.

Il cingersi con le braccia, atto superfluo per questo scopo, origina forse in un piccolo favore alla diffidenza. Dice non ti muovere, però! Resta di guardia. Trattiene dalla fuga, dal tradimento del patto biunivoco. E così ha contribuito a dare al gesto anche un significato di fiducia, per quanto precaria.

Certo, l’abbraccio potrebbe anche essere il residuo atavico dell’azione di lotta, di presa aggressiva. Le braccia a bloccare il movimento e il morso così vicino allo spazio vitale più fragile, il collo. Ma se così fosse, dubito che l’abbraccio sarebbe considerato adesso un gesto amichevole. E in effetti sarebbe una mossa ad alto rischio vicendevole, ché nell’abbraccio, quello che vale per uno, vale per l’altro.

Come sempre mi diverto nelle mie futilità, per decidere tutto senza fare niente. E intanto sento la solidità del tuo corpo vicino, le tue braccia intorno a me, il calore, il profumo. Alzo anch’io le braccia. Hai scavalcato le mie incertezze con compostezza disinvolta, cambiando ogni esitazione in conoscenza. Come quasi sempre, hai saputo fare per entrambi.

Io, forse, ti abbraccio.

Ma tu mi guardi le spalle.

Nicola Cirillo

per CinicoWeb si occupa di scrittura creativa, copywriting, regia, produzione e postproduzione audio e video, grafica, marketing e ogni altra cosa serva. In pratica sa fare tutto ma niente bene.

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