Home

Il cantante di blus - Capitolo 14

XIV.

«Libera!» urlò il biondino col camice bianco aperto sul davanti, che sembrava essere il capo.

Stumpf!

Cinque secondi.

«Ancora! Libera!»

Stumpf!

Michele si ritrovò a pensare ai telefilm ambientati negli ospedali. Malgrado la situazione, o forse proprio per quella, sentì sopraggiungere un attacco di riso isterico, quando pensò che da un momento all’altro qualcuno avrebbe detto ‘Lo stiamo perdendo! Lo stiamo perdendo!’.

Era arrivato venti minuti prima e già nel parcheggio si era accorto che doveva essere successo qualcosa di grave.

Oltre all’unità mobile di rianimazione parcheggiata scompostamente davanti all’ingresso, che da sola indicava una normale emergenza, c’erano infatti due pantere dei carabinieri.

Uno dei militari, ritto davanti all’ingresso, lo aveva fermato e gli aveva detto che non poteva entrare perché i medici erano ancora dentro.

«Io lavoro qui. Che è successo?» aveva chiesto.

«Ignoti hanno esperito un furto aggravato nell’ufficio di un certo Manara, e il custode, che li ha sorpresi in flagranza, è stato colpito con un corpo contundente che ha attinto al capo».

Michele era stato sul punto di ridere, perché non aveva realizzato subito il significato di quelle parole, nascoste dietro un lessico da verbale che il carabiniere sfoggiava soddisfatto.

Quindi aveva tentato di entrare e, alle proteste dell’appuntato Govoni, così si chiamava come lesse dal velcro sulla sua uniforme mimetica, aveva detto chi era e che voleva entrare a vedere.

«Poteva dirlo subito, dottor Manara» aveva risposto ansioso Govoni «salga presto, il signor tenente e il dottor Frattini la stanno cercando da un’ora».

E così si era trovato davanti alla porta del suo ufficio a guardare i tre col camice bianco affaccendati accanto al corpo di Morrone.

Paradossalmente quel corpo disteso, con la camicia della divisa aperta evidentemente di fretta, la carnagione cerea coperta da una scarsa villosità, le gambe ancora scomposte da quando dovevano averlo messo supino, sembrava essere diventato più piccolo, ristretto in un esiguo accenno dell’omaccione bonario che incontrava ogni mattina.

Morrone era una persona priva di cattiveria, a cui piaceva magnificare un passato forse misero di poliziotto, per giustificare un presente reso ancor più opaco dall’età e dalla pinguedine.

Nonostante il suo servilismo untuoso, il suo apparire sempre affaccendato a realizzare un imbrogliuccio, Morrone aveva la generosità tipica dell’uomo del sud e, se lo credeva giusto, era davvero disposto a dare molto più di quanto non ricevesse.

Per questo a Michele piaceva molto.

«È lei il dottor Manara?» la voce era profonda, emessa con l’intento di mettere a disagio l’interlocutore, ma con risultato di essere solo scarsamente udibile nella concitazione del momento.

«È lei il dottor Manara?». E forse nemmeno stavolta Michele l’avrebbe sentito, preso com’era dalla scena.

Ma appena un istante prima uno dei camici bianchi, ancora il biondino forse, disse «è stabile!», evocando ancora memorie di serial televisivi.

Era seguito un silenzio rilassato, nel quale aveva trovato modo di infilarsi la domanda.

Quando Michele si voltò, per vedere chi aveva parlato alle sue spalle, si ritrovò davanti un quarantenne dinoccolato, in un abito che aveva visto tempi migliori, con due baffi alla Vincent Price, che non riuscivano a dargli l’aria distinta per cui forse li aveva lasciati crescere.

«No» rispose «cioè sì, sono Manara ma non sono dottore» disse con un sorriso.

«Non faccia lo spiritoso, dottor Manara, qui la cosa è seria. Venga con me» rispose, mentre gli indicava l’ufficio di Manuela che era accanto al suo, e che l’autorità aveva con tutta evidenza eletto a quartier generale.

«Si accomodi. Sono il tenente Ciotoli» disse mentre prendeva un block notes.

«Piacere».

«Allora lei è il dottor Michele Manara, che ha in uso l’ufficio qui accanto?»

«Insomma, sì. A parte il dottore… sa, io…»

«Bene, bene. Allora cosa mi sa dire di questa storia?»

«Cosa vuole che le dica? Sono appena arrivato! Anzi, io volevo sapere che è successo. Morrone…»

«Lasci perdere, dottore! Qui la cosa è grave. Dobbiamo capire cosa i ladri volevano dal suo ufficio, per avere un’idea di come indirizzare le indagini.» Prese una matita malconcia e disse «Allora, cosa hanno preso?»

«Senta» quasi urlò Michele, che si stava irritando oltre ogni limite «Io sono arrivato adesso, mi sono affacciato il tempo di vedere cosa stava succedendo a Morrone, e non ho certo potuto vedere cosa manca. Io so solo quello che mi ha detto quel suo collega davanti alla porta. E per l’ultima volta: non sono dottore!»

«E va bene, si calmi» disse con un sorriso forzato il tenente «Il collega alla porta? Govoni… buono quello! Parla come scrive, e fa malissimo entrambe le cose. Pensi che sua moglie è laureata. Strana la vita: la moglie intelligente e il marito carabiniere. Che le ha detto?». Michele non poté evitare di condividere il parere del tenente su Govoni, ma questo non gli fece cambiare umore.

«Posso andare a vedere l’ufficio?» chiese, con più garbo di quanto avesse voglia di usare, invece di rispondere alla domanda.

«Prima qualche altra domanda: dunque, lei ammette di essere andato via da questo edificio ieri alle 18.43?».

Per il vero carabiniere la gente non dice, riferisce, racconta o rivela. La gente ammette, quando proprio non confessa.

«C’è il marcatempo, ma sì, era più o meno quell’ora».

«Bene, e che ha fatto dopo?»

«Va bene tenente, adesso basta. Io vado a vedere il mio ufficio, e se vuole fermarmi dovrà arrestarmi»

«Dottor Manara, la prego… i colleghi della scientifica stanno ancora facendo i rilievi. Non potrebbe entrare comunque, quindi perché non facciamo ancora due chiacchiere? Circa il dirmi dov’è stato ieri sera, non deve sentirsi offeso. Dovrò chiederlo a tutti i suoi colleghi e a chiunque fosse coinvolto in questa faccenda, anche suo malgrado. Ho un’indagine da fare. E prendo sul serio il mio lavoro».

Michele quasi si pentì di essersi arrabbiato. In fondo il tenente stava davvero solo lavorando.

«Va bene sono andato a casa ho fatto una doccia e poi sono andato a una mostra di ceramiche a Torrevecchia»

«Era in compagnia?»

«Certo che lo ero: il locale era pieno!». Di nuovo lo irritava questo interrogatorio, ma aveva previsto la domanda. E non capiva perché il tenente insistesse sulle sue cose personali per un fatto accaduto nel suo ufficio. In realtà, pur se non riusciva a spiegarsi il perché, era restio a dire di essere stato in compagnia di Bea.

«Io intendevo… va bene, lasciamo andare per adesso. Fino a che ora si è trattenuto?»

«Fino all’una e mezzo, poi sono tornato a casa. È soddisfatto?»

«Si, dottor Manara. Andiamo a vedere se il dottor Frattini si è ripreso e poi passiamo in rassegna le sue cose».

«Ripreso?»

«Sì, il medico gli ha dato un tranquillante. Sa è stato lui a scoprire il fatto e a chiamare. A proposito, è sempre così mattiniero?»

«A lui l’ha chiesto?»

«Lei è un testimone ostrico, lo sa?»

Michele, con grande sforzo, si trattenne dal ridere allo strafalcione, ma la cosa servì a mitigare la sua irritazione, al punto che sorridendo disse «Sì, lo so. Sono fatto così».

«Sa come sono fatto io, invece?» disse il tenente rispondendo al sorriso con una risatina «Uso ostrico invece di ostico, dal latino hosticum, che vuol dire ostile, e che deriva da hostis, cioè nemico, così i miei testimoni diventano meno ‘ostrici’. Parlando senza divisa, che fa dottor Manara, me lo dice se Frattini è mattiniero, o no?»

Michele rimase un momento sbalordito. Poi scoppiò in una risata, che lo liberò un po’ anche dallo stress degli avvenimenti della mattina. Alla fine disse «parlando senza divisa, lei lo sa che è proprio uno str…»

«Si lo so, sono fatto così, Michele. Ma questa cazzata del latino, te la spiego. Un mio superiore quando ero allievo ufficiale, la sparò a un tizio sotto interrogatorio, e funzionò. Io la imparai a memoria e quasi sempre riesce. Io mi chiamo Sandro». Gli tese la mano sorridendo.

«Va bene, e Sandro sia» disse Michele stringendola «Sì, Frattini è sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. C’è chi pensa che lo faccia perché, oltre che casa sua, non ha un altro posto dove andare e a casa ha una moglie terribile». Non poteva credere di averlo detto. Lui che rivelava a uno sconosciuto, per quanto fosse un carabiniere che lo stava interrogando, un pettegolezzo sul suo capo. Questo Sandro non era solo uno stronzo, ma era anche uno stronzo molto bravo.

«Andiamo a dare un’occhiata al tuo capo, è sul divano nel suo ufficio».